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giovedì 30 aprile 2020

La pandemia COVID-19 in Africa, l’allarme di Sant’Egidio che è presente con Dream in 10 paesi con un diffuso intervento di prevenzione

Vatican News
La pandemia in Africa, l’allarme di Sant’Egidio che interviene con Dream
Per evitare un’escalation di contagi da coronavirus in Africa, la Comunità di Sant’Egidio lancia alcune proposte che partono dalla presenza, in 10 Paesi di quel continente, di diversi programmi sanitari. A presentare i nuovi provvedimenti è stato oggi il presidente della Comunità, Marco Impagliazzo, durante un incontro via streaming con la stampa.

Il mortale braccio del coronavirus si sta inesorabilmente allungando verso l’Africa, ed è corsa contro il tempo per fermare il dilagare della pandemia che provocherebbe una strage dalle dimensioni catastrofiche, una preoccupazione fortemente sentita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, colpita dal trend crescente osservato, appunto, in quel continente.

Ascolta l'intervista a Marco Impagliazzo >>>

52 i Paesi finora toccati dal virus, per un totale di oltre 33.200 contagi, con 1.470 morti. Ad aprire la lista l’Egitto, seguito dal Sudafrica. Nell’Africa occidentale i casi sono concentrati soprattutto in Ghana, Nigeria e Guinea. È dunque necessario intervenire con urgenza, come sta facendo la Comunità di Sant’Egidio, che oggi ha presentato le sue proposte per la prevenzione nei Paesi africani.


Il programma Dream potrà affrontare anche il Covid-19
“I 30 centri che si occupano del programma Dream, attivi da anni per la prevenzione e la cura di malati di Hiv, tubercolosi e malaria – spiega il presidente della Comunità, Marco Impagliazzo– sono ormai aperti anche al tema della gestione del Covid-19. 

Il programma Dream non si è trovato impreparato nell'affrontare la nuova pandemia perché i controlli e le misure di contenimento sono del tutto similari tra il coronavirus e la tubercolosi. Entrambi si diffondono attraverso quelle che sono indicate come ‘droplets’, le goccioline, oggi i nostri centri sono quindi abilitati in questo discorso di prevenzione, rifornendo tutto il personale sanitario e parasanitario di strumenti protettivi quali mascherine, gel, e così via, nonché di tutto il necessario materiale informativo”. 

Quello della protezione dei 10mila operatori della Comunità è un punto fondamentale, spiega ancora Impagliazzo, che precisa anche la presenza di 25 laboratori di biologia molecolare in grado di effettuare test per il Covid-19.

Video dal sito www.santegidio.org

In tutto il continente mancano posti in intensiva e respiratori
Uno degli aspetti più drammatici è la scarsità dei posti letto in terapia intensiva e dei respiratori. Un esempio, continua il presidente, sono “il Burkina Faso e la Somalia, in questi due Paesi i posti sono 15 ed i respiratori sono pochissimi. In Centrafrica, dove il Papa ha aperto la Porta Santa, i respiratori sono tre, in tutto il Paese”. 

L’azione di Sant’Egidio non è limitata ai suoi centri, si articola anche attraverso le sue comunità, tutto per aiutare a prevenire la diffusione del virus. Alla pandemia sono collegate poi altre emergenze socio-sanitarie, come lo scaso approvvigionamento di cibo, anche questo un problema che impegna la comunità. Con il lockdown in molti Paesi, dove non esiste un sistema di welfare, dove non esiste alcun sistema di protezione della vita delle persone da un punto di vista sociale, i problemi sono immensi e stanno veramente crescendo a dismisura, avverte ancora Impagliazzo.

Il picco del virus in Africa si aspetta a partire da metà maggio
“Il virus è arrivato in Africa in ritardo rispetto al resto dei Paesi - aggiunge – ci si aspetta un’onda lunga, un picco di contagi a partire dalla seconda metà di maggio”. Di qui il piano messo a punto da Sant’Egidio, che prevede anche la consegna dei farmaci agli ammalati, come gli antiretrovirali ai contagiati da Hiv, per 3-6 mesi, per evitare la circolazione dei malati. “Bisogna assolutamente accendere i riflettori – conclude il presidente di Sant’Egidio – perché non si arrivi troppo tardi”, di qui il richiamo alla comunità internazionale e l’invito ad aderire ad una sottoscrizione. “La fragilità provoca maggiore diffusione del virus, laddove non ci sono i mezzi bisogna spingere e aiutare perché arrivino, e perché sia garantita a tutti l’accessibilità alle cure”.


Francesca Sabatinelli

El Salvador - Immagini shock dal carcere, pugno duro contro le gang, ammassando e umiliando i detenuti in tempo di Covid-19

Rai News
Detenuti seminudi ammassati nel cortile, il messaggio di umiliazione alle bande criminali del presidente Bukele che ordina un ulteriore giro di vite: membri di bande contrapposte verranno reclusi nelle stesse celle.

Foto AP
Al termine del suo primo anno al potere, il presidente salvadoregno Nayib Bukele combatte su due fronti, da un lato l'epidemia del coronavirus dall'altro le potenti bande di strada che seminano il terrore nel paese e lo fa con metodi che tuttavia secondo molti osservatori mettono a rischio la giovane democrazia. 

Le immagini scioccanti che vengono dalla prigione di Izalco a San Salvador sembrano dimostrarlo. Il pugno duro di Bukele trova il consenso della maggioranza del Paese. 
Secondo i numeri ufficiali avrebbe ridotto drasticamente la criminalità. 

Foto AP
Il governo ha denunciato 65 omicidi a marzo, una media annua di 2,1 al giorno in un paese che ha visto anche più di 20 uccisioni al giorno. Lo scorso fine settimana, tuttavia, ci sono stati 60 omicidi, un'impennata di violenza che sarebbe stata orchestrata dai membri delle bande in carcere. Il governo di Bukele ha reagito divulgando video e foto di centinaia di detenuti appartenenti a una gang, praticamente nudi e accatastati l'uno contro l'altro nel cortile del carcere come punizione. 

Ha anche twittato un video che mostra i detenuti che fanno cenni con gli asciugamani da dietro le sbarre sostenendo che è così che i detenuti comunicavano con il mondo esterno impartendo gli ordini per gli omicidi. Martedì, le autorità penitenziarie hanno chiuso le celle per impedire ogni comunicazione ai prigionieri. 

Il presidente non si è fermato alla divulgazione delle foto e dei video umilianti, ma ha anche ordinato che membri di bande diverse siano messi nelle stesse celle della prigione, una misura senza scrupoli che potrebbe far deflagrare la situazione con ulteriori spargimenti di sangue. 

Gli analisti per altro avvertono che questa strategia potrebbe anche incoraggiare i membri delle diverse bande a coalizzarsi contro lo Stato.

martedì 28 aprile 2020

Migranti - Incendio nel campo profughi di Samos. 200 persone perdono anche il loro rifugio precario. Campo sovraffollato, previsto per 650 rifugiati ne sono presenti più di 7.000

Blog Diritti umani - Human Rights
Decine di richiedenti asilo sono rimasti senza il loro rifugio dopo che un incendio ha devastato un campo sull'isola greca di Samos. 

Lo ha reso noto un funzionario del ministero delle migrazioni. "Circa 200 persone sono rimaste senza tetto", ha detto all'Afp il segretario del ministero della migrazione Manos Logothetis. 


Il rogo è scoppiato domenica sera dopo una "controversia interna" tra residenti del campo, ha aggiunto. Un secondo incendio è partito lunedì in una nuova serie di scontri tra "persone di lingua araba e africane", ha detto una fonte della polizia locale. 


Squadre antisommossa erano state inviate per reprimere i disordini e sette persone sono state arrestate. Il campo di Samos è enormemente sovraffollato, previsto per 650 persone attualmente ne ospita più di 7.000 in baracche, tende e rifugi precari.


La notizia confermata su Twitter da Medici Senza Frontiere

Fonte: AnsaMed

lunedì 27 aprile 2020

Turchia - Erdoğan svuota le carceri per il covid-19 liberando 90.000 detenuti, ma lascia dentro oppositori politici e giornalisti

Linkiesta
Con una contestata riforma giudiziaria, il Parlamento turco metterà in libertà circa 90mila detenuti, ma non gli intellettuali e i politici critici col governo, incarcerati con l’accusa di vicinanza a organizzazioni terroristiche.


Una controversa riforma, votata d’emergenza per svuotare le carceri sovraffollate: è questo, in Turchia, uno degli effetti della crisi provocata dalla pandemia di coronavirus. Poco dopo la morte per Covid di 3 detenuti su un totale di 17 contagiati – registrata lo scorso 13 aprile – il parlamento di Ankara ha approvato un nuovo regolamento sull’esecuzione penale, proposto dal partito di governo AKP del presidente Erdoğan, che permette a circa 90mila carcerati di uscire di prigione prima dei termini di condanna.

Di questa riduzione possono beneficiare i detenuti che abbiano già scontato almeno metà della pena, mentre chi verrà condannato per reati commessi entro il 30 marzo non finirà in carcere, ma sarà costretto alla libertà vigilata. Non tutti i carcerati possono però avvalersi degli sconti di pena: la riforma esclude infatti i prigionieri in attesa di giudizio e quelli condannati per reati relativi a traffico di droga, omicidi premeditati, abusi sessuali e violenza su donne e bambini.

Resta in carcere anche chi è stato condannato per reati relativi al terrorismo, ed è su questo punto che le critiche dei partiti di opposizione e delle associazioni per i diritti umani si sono concentrate.

Se il provvedimento allevia indubbiamente il dramma del sovraffollamento nelle carceri in Turchia – dove prima delle legge erano recluse quasi 300mila persone in strutture con una capienza nettamente inferiore – la riforma ha ricevuto numerose critiche ed è stata approvata, il 14 aprile, dopo una dura battaglia parlamentare.

Le formazioni politiche contrarie, come anche molte associazioni di avvocati, contestano il fatto che l’ampia definizione di “reati per terrorismo” costringerà a restare in prigione anche molti giornalisti, intellettuali e politici critici del governo che negli ultimi quattro anni sono stati incarcerati con l’accusa di vicinanza ad organizzazioni terroristiche.

Si tratta di qualche centinaio di persone, tra cui spiccano nomi noti anche a livello internazionale come quello dello scrittore e giornalista Ahmet Altan, dell’uomo d’affari impegnato politicamente a favore delle minoranze Osman Kavala e dell’ex co-presidente del partito filo curdo HDP – il “Partito Democratico dei Popoli”, la terza forza politica più rappresentata nel Parlamento turco – Selahattin Demirtaş.

Secondo i critici, queste persone sono in realtà in prigione a causa di opinioni politiche critiche nei confronti di Erdoğan e non per i reati di terrorismo per cui sono stati condannati. Sarà questa una delle motivazioni che il socialdemocratico Partito Repubblicano del Popolo (CHP), principale partito di opposizione, porterà nei prossimi giorni davanti alla Corte Costituzionale nel presentare ricorso contro la riforma.

Arabia Saudita - Riforma del sistema penale: abolizione della fustigazione e della pena di morte per i minorenni

Blog Diritti Umani - Human Rights
La notizia, dopo aver appreso che abolirà anche le fustigazioni, indica una riforma del suo sistema penale molto criticato.


L'Arabia Saudita abolirà le condanne a morte per coloro che erano minorenni al momento del crimine, come annunciato domenica dalla Human Rights Commission (CDH, un ente statale), che fa riferimento a un decreto reale. Sebbene non si sappia quando verrà applicata la misura, sembra essere una riforma più ampia del sistema penale, dal momento che era trapelato poco prima che la punizione delle fustigazioni sarebbe stata sostituita da carcere o multe.

“Il decreto significa che chiunque riceva una condanna a morte per reati commessi quando erano minorenni non sarà più giustiziato. Invece, la persona riceverà una pena detentiva di un massimo di dieci anni in un centro di detenzione minorile ", afferma il presidente della HRC Awwad al Awwad in una dichiarazione fatta eco dall'agenzia Reuters.

Dalle informazioni disponibili non è chiaro quando detto decreto è stato pubblicato o da quando sarà efficace, poiché i media ufficiali non lo hanno menzionato. La notizia rappresenta uno spostamento nel sistema giudiziario saudita in cui i minori vengono processati come adulti e, se vengono giudicati colpevoli di uno qualsiasi dei reati punibili con la pena capitale, vengono giustiziati una volta raggiunta la maggiore età.

Attivisti e organizzazioni per i diritti umani hanno criticato duramente questa pratica che viola la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia. Nel suo rapporto sulla pena di morte nel 2019, Amnesty International classifica l'Arabia Saudita come il paese terzo con il maggior numero di esecuzioni (184), dopo Cina (migliaia) e Iran (251), entrambi con una popolazione molto più ampia.

sabato 25 aprile 2020

Bangladesh, incombe la stagione dei monsoni che rischia di aggravare la difficile situazione dei rifugiati Rohingya e dove si sta diffondendo il Covid-19

La RepubblicaL'allerta dell’UNHCR in merito alle gravi implicazioni legate alla possibile diffusione del Covid 19 e per le risposte che sarebbero necessarie

L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha lanciato l’allerta in merito alle conseguenze potenzialmente letali derivanti dall’eventualità che i preparativi di risposta all’imminente stagione dei monsoni in Bangladesh non siano completati per tempo, in una fase in cui il COVID-19 continua a diffondersi. 

In un momento storico in cui i Paesi di tutto il mondo combattono la pandemia, l’arrivo delle piogge monsoniche rischia di aggravare la già difficile situazione in cui vivono i rifugiati in Bangladesh.

A Cox's Bazar una densità 1 volta e mezza quella di New York. Nel Paese asiatico, ad oggi, non sono stati rilevati casi confermati di contagio da COVID-19 tra la popolazione di rifugiati Rohingya. Ciononostante, si ritiene che sia le comunità di accoglienza sia i rifugiati di Cox’s Bazar, in cui vi è una densità di popolazione una volta e mezza maggiore di quella della città di New York, durante questa pandemia siano tra i soggetti maggiormente a rischio su scala mondiale. Durante la stagione, l’area è inoltre soggetta a frane e inondazioni improvvise.

Quattromila famiglie sfollate. A settembre 2019, in occasione delle precipitazioni monsoniche più forti, oltre 4.000 famiglie sono rimaste temporaneamente sfollate nei campi di Cox’s Bazar, e oltre 16.000 persone ne hanno subito gli effetti. Grazie alle misure di mitigazione adottate, i danni sono stati molto minori rispetto all’anno precedente. I rifugiati restano al centro dei piani di preparazione e risposta, mediante unità di circa 3.000 volontari formati per il pronto intervento, che coordinano le attività nelle proprie comunità e l’implementazione delle misure salvavita.

Difficili i rifornimenti. I preparativi per la stagione annuale dei monsoni, tuttavia, hanno risentito della sospensione delle operazioni di riduzione del rischio da catastrofi (Disaster Risk Reduction/DRR), compresi i miglioramenti alle reti fognarie e i lavori di stabilizzazione delle pendenze. Analogamente, anche il trasferimento di rifugiati che vivono in aree a rischio elevato di inondazioni e frane ha subito ritardi. Anche la consegna di forniture è stata problematica, dal momento che il “confinamento” imposto a causa della pandemia COVID-19 ha condizionato i trasporti su strada.

La distribuzione dei "kit di fissaggio". A fronte di una riduzione alle attività essenziali delle operazioni umanitarie assicurate nei campi di accoglienza, la distribuzione di “kit di fissaggio” per rinforzare e proteggere gli alloggi dei rifugiati dai forti venti continua. In caso di emergenza, sono stati predisposti kit post-catastrofe e articoli di soccorso. Unità di preparazione e risposta nelle emergenze (EPRT) sono state allertate per essere mobilitate e dispiegate secondo necessità ed equipaggiate per intervenire in caso di condizioni meteo estreme.

I Rohingya inseriti nel piano di risposta. Per rispondere ai rischi di una potenziale diffusione del coronavirus nei campi rifugiati, il Governo del Bangladesh, insieme all’UNHCR e ai partner, ha incluso i rifugiati Rohingya nel piano di risposta nazionale. UNHCR e partner hanno dato il via alla costruzione di strutture per l’isolamento e di unità di terapia, con l’obiettivo di mettere a disposizione 1.900 letti a beneficio tanto dei rifugiati quanto delle comunità di accoglienza nelle prossime settimane. Le attività di condivisione delle informazioni sono state estese mediante una rete di oltre 2.000 volontari comunitari, leader religiosi e operatori umanitari.

Urgenti le misure di protezione. Se de un lato, in questa fase, è di vitale importanza dare priorità ai preparativi nei campi nell’ambito della sanità pubblica, dall’altro anche le attività di preparazione alle stagioni dei cicloni e dei monsoni devono continuare. Entrambe le operazioni assicureranno ai rifugiati condizioni sicure e igieniche in cui vivere nell’eventualità di una potenziale ulteriore emergenza di salute pubblica. Affinché le misure di preparazione possano essere implementate celermente, è necessario mettere a disposizione con urgenza dispositivi di protezione individuale (DPI), dato l’imponente aumento delle richieste.

Servono 877 milioni di dollari. L’approvvigionamento e la distribuzione su larga scala di dispositivi DPI sono di vitale importanza per assicurare che il COVID-19 non si diffonda rapidamente. Prima che scoppiasse la pandemia da COVID-19, nel complesso, il Piano di risposta congiunta (JRP) 2020 per la crisi umanitaria dei rohingya chiedeva 877 milioni dollari per soddisfare le esigenze più urgenti della popolazione. Ad oggi, solo il 16 per cento del Piano JRP 2020 è stato finanziato.

venerdì 24 aprile 2020

Ramadan Kareem - A tutti i lettori del Blog Diritti Umani - Human Rights

Blog Diritti Umani - Human Rights

Tanti auguri per l'inizio del mese benedetto del Ramadan 
a tutti i lettori di questo Blog di fede musulmana

 

giovedì 23 aprile 2020

La campagna dei Giovani per la Pace per salvare gli anziani esposti a rischi letali: #SalviamoINostriAnziani: troppi morti nelle case di riposo. È ora di cambiare.

Blog Diritti Umani - Human Rights
Circa il  50% dei modi da Covid-19 sono anziani che erano ricoverati negli Istituti.
Il movimento "Giovani per la Pace" lancia una campagna per salvare gli anziani dai rischi letali a cui sono esposti.






#SalviamoINostriAnziani: troppi morti nelle case di riposo. È ora di cambiare. Unisciti alla campagna social dei Giovani per la Pace





martedì 21 aprile 2020

Porti chiusi ai migranti a per le armi sono aperti. Attracca a Genova la nave saudita Bahri Abha, a bordo carri armati.

Il Manifesto
Armi. La denuncia dei portuali genovesi, da anni in prima linea contro il traffico di armamenti nel loro scalo: «Sembra siano carri armati Ercules 882, prodotti negli Stati uniti. Potrebbero essere diretti in Arabia saudita, Kuwait o Marocco. O forse in Turchia: il prossimo scalo previsto è Iskenderun»


L’ultima volta era successo esattamente due mesi fa: il 17 febbraio una nave della flotta saudita Bahri attracca a Genova con a bordo – presumibilmente – armi o equipaggiamento militare. Partito dagli Stati uniti, direzione Medio Oriente.


Perché è questo che fa da anni la Bahri: la spola da una parte all’altra dell’Atlantico, tra il terminal militare statunitense Sunny Point in North Carolina e Gedda.

Venerdì è successo di nuovo: ad attraccare al porto di Genova, denuncia il Collettivo autonomo lavoratori portuali (Calp), è stata la Bahri Abha. A bordo carri armati, come dimostrano le foto scattate dai portuali.

Come ogni volta che una rappresentante della flotta saudita Bahri si è fermata nel loro scalo, denunciano il traffico di armi: in una nota su Facebook il Calp sottolinea come, in tempo di Covid-19, «molte categorie sono costrette a rischiare il contagio per non fermare la produzione e distribuzione di generi di prima necessità» in cui certo non rientrano gli armamenti.

domenica 19 aprile 2020

Morti di fame 60 rifugiati Rohingya su una nave con 500 persone a bordo respinti più volte a causa del coronavirus da Thailandia e Malesia

Blog Diritti Umani - Human Rights
Almeno 60 Rohingya sono morti di fame su una nave con circa 500 persone a bordo.
La nave salpò dal Bangladesh, attraverso il Golfo del Bengala, per più di due mesi, alla ricerca di un porto di scalo, ma quando raggiunse le acque della Thailandia e della Malesia fu respinta.

Due giorni fa, è finalmente tornato in Bangladesh dove è stato intercettato dalla guardia costiera locale.

Circa un milione di rohingya vive in campi profughi vicino al confine con il Myanmar, da dove sono fuggiti dopo un'ondata di violenza nel 2017. Da allora, migliaia di loro cercano di raggiungere altri paesi ogni anno su barche traballanti.

Dopo aver ascoltato il racconto dei sopravvissuti, la guardia costiera nota che i rifugiati, principalmente donne e bambini, hanno tentato più volte di attraccare in Malesia e Tailandia, ma sono stati allontanati a causa dell'epidemia di coronavirus.

La nave navigò nel mare per più di due mesi senza cibo, acqua dolce e medicine.

Almeno 60 morirono e furono sepolti in mare. Anche il capitano della nave morì, ucciso in uno scontro con i Rohingya. Secondo alcuni di loro aveva tentato di violentare una donna.

L'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, che si è occupata dei rifugiati nel Bazar di Cox, ha affermato che i sopravvissuti sono "estremamente malnutriti e disidratati".

ES

Fonte: Asia News

venerdì 17 aprile 2020

"Solidarietà che stiamo vivendo in questi giorni va praticata anche con 55 migranti in grave pericolo alla deriva nel Mediterraneo" - Mario Giro

AGI
Siamo in un tempo difficile, quello del Coronavirus. "Ci siamo resi conto che una delle armi più preziose che abbiamola solidarietà. 



Eppure, questa sembra non valere per 55 profughi alla deriva nel Mediterraneo, con onde alte senza acqua e cibo. Alcuni scelgono un colpevole silenzio, altri giocano alla scarsa barile,. Ma il tempo passa e la loro vita è sempre  più a rischio".

Lo afferma Mario Giro (Demos), ex viceministro degli Esteri.
'Basta dire non è mia competenza, la responsabilità è degli altri, non possiamo intervenire noi ... '.
Questa solidarietà che apprezziamo ogni giorno verso malati e fragili, che chiediamo giustamente all'Europa per far ripartire l'economia, mettiamola in pratica verso 55 persone che rischiano la vita, senza se e senza ma!", conclude Giro.

giovedì 16 aprile 2020

Grecia - Appello UNHCR: "Centinaia di bambini profughi non accompagnati detenuti in "custodia protettiva" a rischio COVID-19"

La Repubblica
Il primo ministro Kyriakos Mitsotakis dovrebbe liberare centinaia di bambini migranti non accompagnati detenuti in celle di polizia antigieniche e centri di detenzione in Grecia. E' l'appello lanciato oggi da Human Rights Watch (HRW) dando così vita ad una campagna per liberare i bambini. Il loro rilascio da condizioni di detenzione offensive li proteggerebbe meglio dalle infezioni in caso di pandemia di coronavirus.


La campagna su #FreeTheKids. Che inizia oggi, il 14 aprile 2020, per sollecitare il Primo Ministro Mitsotakis a rilasciare immediatamente i minori migranti non accompagnati in condizioni di reclusione per trasferirli in strutture sicure e adatte ai bambini. Human Rights Watch sta avviando questa campagna dopo anni di ricerca e sostegno alla pratica della Grecia di rinchiudere i bambini che si trovano in Grecia senza un genitore o un parente in celle di polizia e centri di detenzione, sollecitando i governi successivi a porre fine a queste gravi violazioni dei diritti. 

"Mantenere i bambini rinchiusi in celle di polizia sporche era sempre sbagliato, ma ora li espone anche al rischio di infezione da COVID-19", ha affermato Eva Cossé, ricercatrice greca presso Human Rights Watch. "Il governo greco ha il dovere di porre fine a questa pratica offensiva e assicurarsi che questi bambini vulnerabili ricevano le cure e la protezione di cui hanno bisogno".

Sovraffollamento, bagni in comune, nessun igiene. Secondo il National Center for Social Solidarity, un ente governativo, al 31 marzo, 331 bambini erano in custodia di polizia in attesa di essere trasferiti in un rifugio, un forte aumento rispetto a gennaio, quando 180 bambini non accompagnati erano dietro le sbarre. Malattie infettive come COVID-19 rappresentano un grave rischio per le popolazioni di istituti chiusi come carceri e centri di detenzione per immigrazione. 

Si è scoperto che queste istituzioni forniscono cure sanitarie inadeguate anche in circostanze normali. In molti centri di detenzione, il sovraffollamento, i bagni in comune e la scarsa igiene rendono praticamente impossibile mettere in atto misure di base per prevenire un focolaio di COVID-19.

Detenzione o "regime di custodia protettiva"? Le autorità greche descrivono la detenzione di minori non accompagnati come un "regime di custodia protettiva" e affermano che si tratta di una misura di protezione temporanea nel migliore interesse del minore. 

In pratica, è tutt'altro che protettivo. Secondo la legge greca, i minori non accompagnati dovrebbero essere trasferiti in alloggi sicuri, ma la Grecia ha una carenza cronica di spazio in strutture adeguate come rifugi per bambini non accompagnati. 

La ricerca di Human Rights Watch ha documentato che, di conseguenza, i bambini affrontano detenzioni arbitrarie e prolungate e trattamenti abusivi in condizioni antigieniche e degradanti, tra cui la detenzione con gli adulti e i maltrattamenti da parte della polizia. 

Spesso non sono in grado di ottenere cure mediche, consulenza psicologica o assistenza legale e pochi conoscono persino i motivi della loro detenzione o per quanto tempo resteranno dietro le sbarre. La detenzione ha gravi ripercussioni a lungo termine sullo sviluppo e sulla salute mentale dei bambini, compresi livelli più elevati di ansia, depressione e stress post-traumatico.

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martedì 14 aprile 2020

Coronavirus in USA - I disabili muoiono 5 volte di più e in 25 Stati sono vittima di una "selezione" ritenuti "candidati improbabili alla ventilazione"

Avvenire
Aumentano i morti tra i più deboli e 25 Stati copiano la «selezione» dell’Alabama. 
I disabili negli Stati Uniti stanno morendo di Covid-19 a un ritmo cinque volte superiore a quello del resto della popolazione. Ed è salito a 25 il numero degli Stati che permettono agli ospedali di non fornire un respiratore ai malati cronici o a chi presenta minorazioni fisiche o mentali. 

I primi dati sulla mortalità dei disabili durante la crisi da coronavirus, che provengono dalle aree più colpite dal contagio, mettono in evidenza quanto una categoria già vulnerabile sia esposta al nuovo virus, a causa delle condizioni di vita in strutture dove l’isolamento è difficile o del contatto frequente con personale sanitario o di supporto che introduce il virus nelle case degli assistiti.

E sottolineano anche come condizioni di salute non ottimali rendano ardua la battaglia con la malattia. A Long Island, ad esempio, l’80% dei residenti di una casa per disabili intellettivi è risultato positivo al coronavirus. 

Una percentuale simile si è registrata in varie strutture in Massachusetts e Michigan. Mentre in Louisiana è morta April Dunn, presidente del Developmental disabilities council, che aveva protestato contro le linee guida del suo Stato sull’accesso ai respiratori per le persone affette da malattie croniche. 

Infatti, mentre si trovano ad affrontare una probabilità quintuplicata di morire di Covid-19 (5,34 volte più del resto della popolazione per l’esattezza, secondo il gruppo New York Disability Advocates), i disabili americani continuano a lottare contro regole discriminatorie sull’accesso alle cure intensive stilate dai Parlamenti o dalle Amministrazioni locali.

Se le associazioni dei disabili hanno già spinto l’Alabama a eliminare dalle sue linee guida la frase «le persone affette da ritardo mentale sono candidati improbabili per la ventilazione assistita», nei giorni scorsi 15 Stati si sono aggiunti ai 10 che avevano già invitato gli ospedali a razionare i respiratori, facendo passare «in fondo alla fila» chi necessita di «una maggiore quantità di risorse», o ha ricevuto diagnosi specifiche, fra le quali la demenza. 

La paura delle categorie più deboli è di essere messe da parte mentre gli Usa sono sopraffatti da una vera e propria strage, il cui bilancio ieri ha superato le 16mila vittime, oltre 7mila solo a New York. «Peggio dell’11 settembre», afferma sconsolato il governatore Andrew Cuomo che snocciola le dolorose statistiche.

Elena Molinari, New York

Il Myanmar di Aung San Suu Kyi mette in carcere per reati di opinione e blocco internet anche per avere informazioni vitali per combattere il Covid-19

Corriere della Sera
In un nuovo rapporto sulla violazione dei diritti umani in Myanmar, Amnesty International ha ancora una volta sollecitato le autorità militari e civili - Aung San Suu Kyi in primo luogo - dello stato asiatico a rilasciare tutte le persone condannate al carcere solo per aver espresso le loro opinioni. 


L'elenco è lungo: poeti, studenti, attivisti politici, ambientalisti, giornalisti, sindacalisti e monaci buddisti. Secondo il gruppo della società civile Athan, solo nel 2019 331 persone sono state processate per reati di opinione.

La storia più emblematica riguarda la "Generazione del pavone", una compagnia di giovani artisti che gira il paese mettendo in scena spettacoli di "thangyat", una forma d'arte popolare che unisce poesia, commedia, satira e musica. L'anno scorso, durante gli spettacoli, alcuni attori della compagna sono comparsi in scena vestiti da militari criticando le forze armate dello stato. Sono subito scattati gli arresti. Sei attori sono stati condannati, chi a due e chi a tre anni di carcere.

Rischia di fare la stessa fine l'ambientalista Saw Tha Phoe , che mentre scrivo si nasconde da qualche parte del paese per evitare l'arresto. Contro di lui è stato emesso un mandato di cattura per "istigazione", dopo che aveva aiutato gli abitanti di una zona dello stato di Kayin a denunciare l'impatto sociale e ambientale di un cementificio entrato in produzione. Nella stessa situazione si trova Aung Marm Oo, direttore del Development Media Group. La sua "colpa" è di aver raccontato, attraverso la sua agenzia di stampa, i crimini di guerra commessi nello stato di Rakhine a partire dall'agosto 2017. Accusato di aver violato la Legge sulle associazioni illegali, è stato condannato a cinque anni in contumacia. Si nasconde da oltre 10 mesi.

La repressione è proseguita anche quest'anno. A febbraio altri tre attori della "Generazione del pavone" sono stati condannati a sei mesi di carcere. A marzo, cinque studenti sono stati arrestati per aver protestato contro il blocco di Internet imposto dalle autorità negli stati di Rakhine e Chin. Il blocco rimane tuttora in vigore, negando tra l'altro alle persone di ricevere o procurarsi informazioni fondamentali per difendersi dalla pandemia da Covid-19.

di Riccardo Noury

lunedì 13 aprile 2020

Siria - Appello del Nunzio a Damasco: "Qui metà degli ospedali chiusi, il nemico adesso è il virus, se si diffonde potrebbe essere una catastrofe inimmaginabile"

Corriere della Sera
Il cardinale Zenari, Nunzio a Damasco: «Milioni di sfollati e due terzi e del personale sanitario è partito. La diffusione del virus provocherebbe un disastro di dimensioni inimmaginabili».
«In undici anni che sono qui non ho mai visto un’atmosfera così. In Medio Oriente, sa, c’è vita soprattutto la sera. Ora c’è solo un silenzio di tomba. Sto guardando fuori dalla finestra e non si vede neanche un cane. Alle 18 è scattato al coprifuoco che dura fino alle sei del mattino. La gente ha paura, molta paura…». Il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, sospira: «La diffusione del virus, qui in Siria, sarebbe una catastrofe inimmaginabile». 

Eminenza, a metà marzo la Siria è entrata nel decimo anno di guerra, il Papa all’Angelus si è associato all’appello del Segretario generale dell’Onu per un «cessate il fuoco totale» in tutto il mondo… 
«Dal 5 marzo, dopo l’incontro tra Putin ed Erdogan, è cominciata una tregua a Idlib, nel Nordovest, e finora ha tenuto, salvo qualche violazione. Nel Nordest, dove ci sono i curdi e le forze appoggiate dagli Usa, hanno accettato subito. Speriamo che sia la volta buona e tutti abbiano un po’ di buon senso. Adesso il nemico da combattere è il Coronavirus, ed è un nemico che fa una paura enorme». 

Qual è la situazione? 
«Mancano strutture e uomini. L’Oms, alla fine del 2018, calcolava che in Siria funzionasse solo il 46 per cento degli ospedali; gli altri erano chiusi, distrutti dalla guerra, o operavano solo in parte. Nel frattempo le cose sono peggiorate. Inoltre, dall’inizio del conflitto, due terzi dei medici e del personale sanitario sono partiti. E tutto questo in un Paese che ha patito più di mezzo milione di morti e con 12 milioni di persone fuori dalle proprie case, tra sfollati interni e rifugiati nei Paesi vicini».

Il contagio è arrivato? 
«Le autorità hanno cominciato a dichiarare l’esistenza di persone infettate una settimana fa, parlando di un caso positivo arrivato dall’estero. Di lì a qualche giorno hanno riferito di altri quattro in quarantena. Ma chi può sapere la situazione reale… Qui ci sono sei milioni di sfollati, molti ammassati nei campi profughi. Otto persone su dieci vivono sotto la soglia di povertà. La gente si chiede: se va così nei Paesi occidentali, come potremo fermare questo flagello qui?».


Sono state prese delle misure? «Sì, le stesse autorità hanno molta paura. Da una decina di giorni sono state chiuse scuole, università, moschee, anche le chiese non celebrano funzioni, hanno ridotto al 40 per cento il pubblico impiego, limitato i trasporti, ci sono diverse disposizioni per evitare assembramenti, ad esempio nei mercati, la sera scatta il coprifuoco…È una cosa che fa pensare, il segno che si teme un disastro». 

Dal 2017 avete promosso il progetto «Ospedali aperti», sostenuto dal Papa, dalla Cei e dalle donazioni e gestito dalla Fondazione Avsi , come vi state muovendo?
«Sì, abbiamo sostenuto l’ospedale italiano e quello francese a Damasco, e il St. Louis ad Aleppo. In due anni sono stati curati più di trentamila pazienti poveri. Adesso stiamo cercando di procurarci dei respiratori, magari da qualche paese vicino come il Libano, ma è difficile. Qui siamo isolati dal resto del mondo, mancano aerei…Speriamo di farcela».


Gian Guido Vecchi

Sbarchi migranti - 32 sindaci dell'Agrigentino scrivono a Conte: "Una nave per la quarantena dei migranti" per garantire accoglienza e sicurezza sanitaria

La Repubblica
"Basta soluzioni improvvisate ma vengano garantite accoglienza, sostegno, cure adeguate e tamponi"
Nel giorno di Pasqua in isolamento ma col sole, continuano gli sbarchi dei migranti sulle coste italiane e, a poche miglia dalla Sicilia, anche i naufragi con vittime. Dalla Sicilia parte una lettera per cercare una soluzione all'eventuale contagio da Covid-19. 

E così 32 sindaci agrigentini hanno scritto una lettera al premier Conte sugli ultimi sbarchi di migranti in cui sollecitano "tutte le misure utili e le strutture necessarie per l'accoglienza e la sicurezza dei migranti nel rispetto delle norme restrittive per il contenimento del Coronavirus".

I sindaci agrigentini, come ha già fatto il presidente della Regione Nello Musumeci, chiedono una "nave accoglienza da ormeggiare in rada per permettere ai migranti di poter fare la quarantena in sicurezza prima che raggiungano i luoghi di destinazione europei. In previsione di nuovi sbarchi nelle prossime ore, occorre che il Governo - concludono i sindaci - trovi una soluzione il più rapidamente possibile prima che la situazione possa sfuggire di mano". Insomma, una soluzione simile a quella trovata per i 156 immigrati soccorsi dalla Alan Kurdi, che non sbarcheranno in un porto italiano ma saranno trasferiti su una nave nelle prossime ore per la quarantena ed i controlli della Croce Rossa italiana e delle autorità sanitarie locali.

Da poco si è concluso lo sbarco da un gommone approdato a Pozzallo con 100 uomini. Il sindaco ha chiesto che non ci sia un trasferimento all'hotspot dove c'è un giovane positivo al coronavirus. Gli uomini sono ancora in banchina in attesa del loro destino. Mentre tra Malta e Tripoli la Sea Watch denuncia un naufragio con diverse vittime.

"Mentre chiediamo grandi sacrifici ai cittadini per evitare il diffondersi del virus - si legge ancora nella missiva dei sindaci agrigentini - non possiamo assistere a continui sbarchi con soluzioni improvvisate per accogliere i migranti utilizzando luoghi poco sicuri. 

Alle persone che arrivano vanno garantite accoglienza, sostegno, cure adeguate e tamponi mettendo in tal modo al sicuro la salute degli operatori e delle comunità che li ospitano".
Romina Marceca

domenica 12 aprile 2020

Migranti - Nulla ferma le partenze dalla Libia - Sea Watch: "4 barconi con 250 persone nel Mediterraneo - Uno capovolto numerosi i morti"

ANSA
Numerose persone sarebbero morte in mare in seguito al naufragio di un barcone tra Malta e Tripoli.
Lo denuncia in un tweet Sea Watch, spiegando che "250 persone erano alla deriva da ieri su 4 gommoni", che avevano a bordo un numero variabile tra 47 e 85 persone, e che una di queste imbarcazioni si è capovolta e le persone sono naufragate. I quattro barconi - uno con 72 persone a bordo, uno con 47, uno con 55 e l'ultimo con 85 - sono stati segnalati ieri a Sea Watch da Alarm Phone, il servizio telefonico per i migranti in difficoltà. 

Era stata la stessa Sea Watch a chiedere l'intervento del Commissario europeo per i diritti umani "per chiarire che i diritti delle persone salvate in mare devono essere garantiti a prescindere da quale sia la nave che li soccorre". L'Ong ha quindi spiegato che l'agenzia europea Frontex ha oggi segnalato i barconi in mare, di cui uno capovolto.

Svezia - Coronavirus - Dispone la "soluzione finale" per over 80 e over 60 con patologie. Niente respiratori se scarseggiano.

Ansa
Drammatica e preoccupante situazione in Svezia. Se dovessero cominciare a scarseggiare i posti in terapia intensiva in Svezia per l'emergenza coronavirus i medici dovranno escludere le persone di 80 anni e quelle di 60-70 che hanno altre patologie. 
Sarebbero queste le indicazioni date agli operatori sanitari svedesi dal Karolinska Institute di Stoccolma secondo un documento pubblicato sul sito del quotidiano Aftonbladet. In pratica gli anziani che hanno più di 80 anni non sono considerati una priorità così come non lo sono quelle di 70 anni «che hanno un problema a più di un organo» e i 60-70enni «sui quali si riscontra una patologia su più di due organi». 

Stando al documento, inoltre, se una persona che viene contagiata dal Covid-19 è già gravemente malata la decisione dei medici dovrà basarsi non solo sull'età anagrafica ma anche su quella biologica. Interpellate dal quotidiano le autorità sanitarie svedesi hanno assicurato che non ci saranno carenze di posti in terapia intensiva. 

Bjorn Eriksson, direttore della sanità di Stoccolma, ha spiegato che al momento ci sono oltre 300 letti, di cui 79 ancora liberi. Ma secondo dati Ue, la Svezia è il Paese europeo con il più basso numero di posti in terapia intensiva.

sabato 11 aprile 2020

Bolivia. Coronavirus, indulto per detenuti con più di 58 anni e donne con figli

agenzianova.com
Un indulto riservato a detenuti più a rischio per età e alle detenute con figli. È quanto contenuto nel decreto approvato è stato deciso in Bolivia Jeanine Anez, presidente ad interim della Bolivia. 


A beneficiarne saranno uomini con un'età superiore ai 58 anni e donne dai 55 anni in su con uno o più figli. Il provvedimento punta a ridurre il sovraffollamento delle carceri nel contesto dell'emergenza sanitaria provocata dal nuovo coronavirus.

La disposizione dovrà ora essere approvata dall'Assemblea nazionale. "È importante adottare queste misure in questo momento in cui vi è un sovraffollamento nelle carceri", ha affermato il ministro della Presidenza, Yerko Nunez. La misura era stata chiesta dalla Defensoria del Pueblo. Le carceri del paese operano infatti al dopo della loro capacità e i due terzi dei detenuti sono in attesa di giudizio.

Sono 264 in Bolivia le persone affette da Covid-19 conclamato e 18 i morti. La presidente Anez ha annunciato lo stato di emergenza sanitaria fino al 15aprile e la chiusura delle frontiere, nel tentativo di contenere la diffusione del nuovo coronavirus.

La disposizione stabilisce che solo una persona per nucleo famigliare può uscire di casa per fare la spesa dalle 7alle 12. Le uscite sono scaglionate sulla base dell'ultimo numero della carta di identità; una misura, questa, adottata anche i altri paesi della regione come Ecuador e Panama.

Il governo ha anche disposto la chiusura delle scuole e sospeso i voli da e per l'Europa. Saranno con ogni probabilità posticipate le elezioni generali previste per il 3 maggio a una data compresa fra il 7 giugno e il 6 settembre 2020. Le elezioni sono state indette in seguito alle contestazioni di quelle del 20 ottobre scorso, che hanno portato alle dimissioni del presidente Evo Morales su pressione delle forze armate.

venerdì 10 aprile 2020

Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa: "Coronavirus occasione per regolarizzare e garantire a accesso alle cure ai migranti. Se abbiamo da mangiare è grazie a loro"

Il Giornale.it
L'eurodeputato di Demos, Pietro Bartolo, chiede di sfruttare l'occasione della pandemia per regolarizzare i migranti e garantire l'accesso alle cure: "Dobbiamo ringraziarli, se abbiamo da mangiare è grazie a loro"


I migranti? "Possono aiutarci a superare questa pandemia, per una volta ammettiamolo e consideriamoli esseri umani".


A dirlo è Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa prestato all’Europarlamento. Secondo il deputato europeo di Demos, il coronavirus poteva essere l’occasione per iniziare a gestire correttamente il fenomeno dell’immigrazione, "regolarizzando" tutti gli stranieri arrivati nel nostro Paese al fine di permettere loro l’accesso all’assistenza sanitaria.

Del resto, ha detto Bartolo ai microfoni di L'Italia s'è desta, la trasmissione condotta da Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, emittente dell'Università Niccolò Cusano, sono loro che dobbiamo ringraziare se in tempi di emergenza sanitaria il cibo continua ad arrivare sulle nostre tavole. "Se noi ancora oggi abbiamo di che mangiare dobbiamo dire grazie anche a queste persone invisibili che ci danno questa possibilità, sono persone che ancora oggi, in modo non normale, lavorano nei campi e rischiano di prendersi questo virus", è la posizione dell’eurodeputato che cita l’esempio del premier portoghese Antonio Costa.

"Ha fatto bene a regolarizzare tutti gli immigrati, dandogli la possibilità di avere l'accesso ai diritti sanitari e avendo così la possibilità di tracciare e tenere sotto controlli chi è affetto da coronavirus", spiega Bartolo. Quanto al nostro Paese, aggiunge, "siamo incapaci di gestire questo fenomeno dell'immigrazione", nonostante "questo poteva essere il momento giusto per cominciare a gestire il fenomeno in maniera corretta". 

I migranti, invece, denuncia il medico vicino alle sardine - fu l’unico politico a parlare dal palco del maxi raduno di piazza San Giovanni a Roma - per il fatto di essere "invisibili", "non sono entrati neanche nei decreti di emergenza, quindi poi è normale che finiscano per strada".

[...]

Coronavirus. Lo studio Unu: con la crisi fame per oltre mezzo miliardo di poveri in più. Medio Oriente e Africa indietro di 30 anni

Avvenire
Secondo una ricerca dell'Unu, l'università delle Nazioni Unite, avremo il primo aumento della povertà globale dal 1990. In Medio Oriente e Africa passo indietro di 30 anni

La crisi economica scatenata dalla pandemia del coronavirus farà aumentare la povertà nel mondo per la prima volta dal 1990 e nel caso peggiore potrebbe ridurre in povertà più di mezzo miliardo di persone.

Tre studiosi del centro di ricerca sullo sviluppo economico dell’Università delle Nazioni Unite (Unu) – Andy Sumner, Chris Hoy e Eduardo Ortiz-Juarez – hanno provato a stimare l’impatto del virus sulla povertà a livello mondiale. La ricerca delinea tre possibili scenari, dal più ottimistico al più pessimistico: in quello migliore il calo medio del reddito pro capite delle famiglie sarebbe del 5%, in quello intermedio del 10% e in quello peggiore del 20%.

Gli studiosi dell’Unu hanno stimato il possibile impatto sulla povertà secondo questi scenari. A seconda di dove si colloca la soglia di povertà il punto di partenza e i risultati sono diversi: oggi ci sono 759 milioni di persone che vivono con meno di 1,9 dollari al giorno, 1.898 milioni di persone sotto i 3,2 dollari al giorno e 3,27 miliardi di persone sotto i 5,5 dollari al giorno.

Nel caso migliore, quello di un calo dei redditi del 5%, scivolerebbero sotto la più severa delle soglie di povertà 85 milioni di persone, mentre 135 milioni andrebbero sotto i 3,2 dollari a testa e sarebbero 124 milioni le persone che tornerebbero sotto la soglia dei 5,5 dollari quotidiani a testa. Nello scenario di una caduta dei redditi del 20% sarebbero ben 420 milioni le persone che finirebbero sotto la soglia degli 1,9 dollari al giorno, mentre 581 milioni scenderebbero sotto i 3,2 dollari al giorno e 523 milioni sotto i 5,5 dollari al giorno. Il numero di poveri nel mondo, se si usa il criterio più esteso dei 5,5 dollari al giorno, passerebbe così da 3,27 miliardi a 3,79 miliardi.

«Questi potenziali aumenti sarebbero equivalenti a un passo indietro di almeno un decennio nella riduzione della povertà mondiale» notano i ricercatori, sottolineando come la ricerca abbia dei limiti (ad esempio usa uno standard unico a livello mondiale e non considera altri tipi di povertà), ma in ogni caso la crisi complicherà molto la possibilità di raggiungere l’obiettivo di ridurre la povertà entro il 2030, il primo degli obiettivi di Sviluppo sostenibile. In aree come il Medio Oriente, il Nordafrica e l’Africa Subsahariana il livello di povertà tornerebbe addirittura a quello dei primi anni ‘90.

Riprendendo i dati dell'analisi di Unu, l'organizzazione non governativa Oxfam ha rilanciato l'allarme aggiungendo alcune richieste specifiche al G20, che si riunirà il prossimo 15 aprile: sospensione delle sanzioni e dei pagamenti dei debiti dei Paesi in via di sviluppo; garanzie per 1000 miliardi di liquidità aggiuntiva sempre per i Paesi in via di Sviluppo; mobilitazione di 500 miliardi di aiuti allo Sviluppo.

Pietro Saccò

mercoledì 8 aprile 2020

Libia, la guerra non si ferma davanti al coronavirus - Bombardato l’ospedale di Tripoli, una delle poche strutture che curano dal Covid-19

Pars Today
Le forze del capo dell’Esercito nazionale libico (Enl), Khalifa Haftar, hanno bombardato ... lunedì l’ospedale al-Khadra nell’area di Bab-Hadba di Tripoli, in Libia.


L’attacco, raccontano i media libici, ha provocato molta paura tra il personale sanitario e i pazienti, la rottura del generatore elettrico della struttura e il ferimento di un lavoratore straniero. 

Salvi i pazienti che sono stati trasferiti in altre strutture della capitale. Al-Khadra è una delle poche strutture in cui possono essere ricoverati i malati da Covid-19.

Gli effetti per ora contenuti del virus – ufficialmente 19 casi e una vittima – potrebbero essere devastanti: il paese non dispone di centri diagnostici adeguati, strutture sanitarie di livello internazionale e fondi necessari contro il coronavirus.

martedì 7 aprile 2020

Mentre il mondo è travolto dal coronavirus, i migranti continuano a partire dall’Africa. 600 respinti in Libia violando le norme internazionali

La Stampa
La Alan Kurdi salva 68 persone su un barcone. Secondo Alarm Phone: 600 persone riportate in Libia a marzo 


Dal corrispondente da catania. Mentre l’attenzione di tutto il mondo era, ed è, rivolta verso l’emergenza coronavirus, nel mese di marzo almeno 600 persone avrebbero tentato la traversata del Mediterraneo centrale dalla Libia per poi essere riportati indietro. Lo sostiene Alarm Phone, l’organizzazione che gestisce le chiamate di soccorso dei migranti: «C’è chi ha ancora necessità di fuggire nonostante Covid-19 - ha twittato - e lo farà anche senza soccorso in mare. Temiamo che più vite siano a rischio nel Mediterraneo con il miglioramento del meteo». 

Alarm Phone scrive «intercettati e respinti» ma non dice chi abbia riportato in Libia i migranti, se la Guardia costiera libica oppure navi mercantili di passaggio che, senza l’attenzione dei mesi scorsi sul fenomeno migrazioni nel Mediterraneo centrale, possono aver eseguito nel silenzio l’ordine di riportarli indietro anche se questo non è consentito dai trattati internazionali.

D’altronde appena questa mattina la Alan Kurdi, arrivata solo ieri in quel tratto di mare, ha compiuto il salvataggio di 68 migranti che erano su un barcone in legno «inadatto», come ha scritto la Ong tedesca Sea-eye che gestisce la nave, partita a inizio della scorsa settimana dalla base in Spagna. Secondo Sea-eye, «le forze libiche hanno interrotto il salvataggio e sparato colpi e molti dei migranti sono saltati in acqua», anche se poi ha specificato che «tutte le persone sono ora al sicuro a bordo». 

Nei giorni scorsi il governo italiano avrebbe avvertito quello tedesco che, in caso di soccorsi da parte della Ong, l’Italia non si sarebbe fatto carico dei migranti. La Alan Kurdi è l’unica nave umanitaria presente nella zona Sar (di ricerca e soccorso) davanti alla Libia. Tutte le altre Ong hanno infatti sospeso le operazioni in mare, per questioni di sicurezza ma anche per poter rischierare medici e volontari sul «fronte» del coronavirus in diversi paesi europei, soprattutto in Italia e Spagna.

In serata, 36 migranti sono arrivati autonomamente a Lampedusa. Erano su una barca proveniente dalla Tunisia. Il sindaco dell'isola, Totò Martello, ha subito firmato un'ordinanza per metterli tutti in quarantena nell'hotspot di contrada Imbriacola. Tra le persone arrivate ci sono anche 11 donne di cui due in gravidanza. L'ultimo sbarco a Lampedusa risale alla metà di marzo.

La pandemia non sta risparmiando nemmeno i Paesi della sponda sud del Mediterraneo: in Libia finora sono stati accertati 18 casi con un decesso, 574 i casi in Tunisia con 22 decessi, 1320 in Algeria con 152 decessi, 1113 in Marocco con 71 decessi. 

Proprio in Marocco si registra oggi il tentativo di fuga verso l’enclave spagnola di Melilla di circa 260 migranti. Una cinquantina è riuscita a scavalcare le barriere e ad entrare in territorio spagnolo, quindi europeo, nella speranza di poter così più facilmente raggiungere il vecchio Continente, per nulla intimoriti dalla grave crisi sanitaria in corso.

lunedì 6 aprile 2020

Coronavirus, OMS: “Imminente aumento contagi in Africa, 54 paesi africani chiudono le frontiere ma occorre aprire corridoi umanitari per far entrare aiuti"

MeteoWeb
Oltre la metà dei 54 Paesi africani ha chiuso confini di terra, aria e mare per arginare la diffusione del nuovo coronavirus.



Il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha avvertito di un “imminente aumento” dei casi di contagio del nuovo Coronavirus in Africa.
Ghebreyesus ha chiesto ai capi di Stato africani di aprire corridoi umanitari per consegnare forniture mediche indispensabili.

Oltre la metà dei 54 Paesi africani ha chiuso confini di terra, aria e mare per arginare la diffusione del nuovo Coronavirus, ma ciò ostacola le spedizioni. Il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha avvertito di un “imminente aumento” dei casi di contagio del nuovo Coronavirus in Africa.

Nei Paesi del continente sono 313 i decessi, 29 in più rispetto ai dati di ieri, e 7.741 i casi di contagio in 50 Stati, secondo il Centro di controllo delle malattie dell’Unione Africana.
Aumenta il numero dei guariti: sono 640 rispetto ai 561 di ieri.

Primo Paese per numero di vittime resta l’Algeria, con gli 83 decessi già confermati dai dati di ieri. Il più colpito, il Sudafrica: qui si contano nove morti e 1.505 casi. Oltre ad Algeria e Sudafrica ci sono altri 27 i Paesi del continente in cui si registrano vittime: Egitto (66), Marocco (48), Burkina Faso (16), Tunisia (18), Repubblica democratica del Congo (16), Camerun (8), Mauritius (7), Ghana (5), Niger (5), Nigeria (4), Kenya (4), Congo (3), Mali (3), Togo (3), Angola (2), Sudan (2), Gabon (1), Libia (1), Botswana (1), Gambia (1), Zimbabwe (1), Zambia (1), Costa d’Avorio (1), Capo Verde (1), Senegal (1), Tanzania (1) e Mauritania (1).

Apocalisse in Yemen - Guerra, carestia, colera e ora anche l'incubo Covid-19.

Globalist
Una catastrofe che dura da oltre cinque anni, con la complicità di potenze regionali (Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) e le armi vendute dagli Usa e dall’Europa (Italia compresa).


Guerra, carestia, colera. Ed ora, Coronavirus. In una parola: Yemen. Una catastrofe che dura da oltre cinque anni, con la complicità di potenze regionali (Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) e le armi vendute dagli Usa e dall’Europa (Italia compresa). Nella Giornata internazionale delle coscienze indetta dall’Onu, ricordare l’apocalisse yemenita è un dovere per quanti, anche nel modo della comunicazione, una coscienza l’hanno ancora. A guidarci nell’inferno yemenita è una delle Ong internazionali più attente e attive nel monitorare la situazione in Yemen: Oxfam, il cui ultimo rapporto traccia un quadro dettagliato dell’apocalisse yemenita



Apocalisse Yemen
La guerra. Il conflitto in Yemen dura ormai da cinque anni, con bombardamenti pesantissimi dei quali fanno le spese soprattutto donne e bambini. 12.366 vittime civili, tra il 26 marzo 2015 e il 7 marzo di quest’anno e oltre 100 mila vittime totali. Oltre 4 milioni di sfollati interni sopravvivono in alloggi di fortuna o nei villaggi, dove la popolazione locale ha offerto loro un riparo.

Il Coronavirus. L’Oms ha da poco attivato un numero verde per informare la popolazione yemenita sull’emergenza, predisponendosi a mandare aiuti immediati. In un contesto umanitario non dissimile da quello siriano, dove si è registrato il primo caso ufficiale di Covid1-9.

Il colera. Da inizio anno sono più di 56 mila le persone contagiate e oltre 2,2 milioni dal 2017: si tratta della più grave epidemia del mondo, aggravata dal collasso del sistema sanitario e delle infrastrutture idriche. Inoltre il numero di contagi potrebbe aumentare con l’arrivo della stagione delle piogge in aprile.

La carestia. Più di 10 milioni di persone sono sull’orlo della carestia. 2 milioni di bambini e 1,4 milioni di donne in gravidanza soffrono di malnutrizione acuta. 24,1 milioni di persone su 30,5 dipendono dagli aiuti umanitari. I prezzi dei beni alimentari sono saliti in media del 47%.

L’isolamento. Le vite di 22 milioni di persone saranno in pericolo se non aumentano le importazioni di cibo, carburante, medicine: il blocco delle importazioni deve essere permanentemente eliminato. Anche il prezzo del petrolio è aumentato enormemente: il prezzo medio al litro è salito del 280% da quando il conflitto è iniziato.

L’infanzia negata. I bambini subiscono l’impatto peggiore del conflitto e, con il proseguire dei combattimenti, il loro futuro appare sempre più tetro. Più di 1.600 scuole sono state distrutte, e fame e debiti spingono molte bambine – anche sotto i 10 anni – verso i matrimoni precoci: nel Governatorato di Amran nel nord del Paese, ad esempio, tante famiglie stremate, rimaste senza cibo e senza una casa, arrivano al punto di dare in matrimonio figlie anche piccolissime, in un caso anche di tre anni, per poter comprare cibo e salvare il resto della famiglia.

Emergenza idrica e sanitaria. Quasi 18 milioni di persone non hanno accesso a fonti di acqua pulita e all’assistenza sanitaria di base, rimanendo così inevitabilmente esposte a epidemie mortali. Le scorte di medicine e materiali sanitari si stanno esaurendo.

La situazione a Hodeidah. Oltre 80.000 persone sono state già costrette ad abbandonare la più grande città portuale dello Yemen, in completo assetto da guerra con truppe schierate, trincee e barricate. Le vittime tra i civili rimasti intrappolati in città continuano ad aumentare, e la popolazione non ha la minima possibilità di fuggire o ottenere assistenza medica.
“Se in Italia il Coronavirus sta provocando la più grave emergenza sanitaria ed economica dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, non riusciamo davvero ad immaginare le conseguenze del contagio in un Paese distrutto e poverissimo come lo Yemen 
[...]

Nel caso in cui il Covid-19 dovesse diffondersi in Yemen assisteremmo alla peggiore catastrofe umanitaria del secolo”: a lanciare l’allarme è Abdulrahman Jaloud, direttore di “Yemeni Archive”, associazione umanitaria che riunisce attivisti per i diritti umani, giornalisti, tecnici impegnati a documentare le violazioni e i crimini compiuti da tutte le parti in lotta nel Paese dove infuria una guerra da oltre sei anni.
[...]
Yemen, per non dimenticare. E per dimostrare che siamo capaci ri “restare umani”.

Umberto De Giovannangeli