Libia. L'inferno del centro migranti di Zintan: nessuna protezione anti Covid mentre si muore di fame, stenti e tubercolosi
La Repubblica
La drammatica testimonianza di Kidane, uno dei 700 ospiti del campo a sud ovest di Tripoli. "Costretti a dormire in 24 in una cella di sei metri quadrati, è impossibile difenderci dal virus"
A 160 chilometri a sud-ovest di Tripoli c'è un non luogo dove Kidane (il nome è di fantasia ndr)e altri cinquecento eritrei ed etiopi sono rinchiusi da un anno e nove mesi. Sono richiedenti asilo con bisogno di protezione internazionale, registrati dall'Alto Commissariato Onu per i rifugiati come tali. Eppure, come tali, incredibilmente abbandonati. Sospesi nel niente. E stanno morendo uno dopo l'altro.
Non sanno quando usciranno, non sanno se usciranno, hanno già visto 25 persone crollare a terra e morire di fame, stenti e tubercolosi.
Come se non bastasse, sono assediati dal Covid-19, che non ha risparmiato la Libia precipitata da mesi nella guerra civile. Ma in questo non luogo nel distretto di Al-Jabal al-Gharbi che risponde al nome di “Centro governativo di Zintan” non esiste possibilità di difesa dal virus.
Non c'è acqua per lavarsi, non c'è sapone, non ci sono mascherine e il distanziamento sociale è impossibile anche solo da immaginare.
“Dormiamo in ventiquattro in una cella due metri per tre”, racconta Kidane, eritreo di 30 anni, uno dei pochissimi detenuti che ha il cellulare. Due metri per tre, cioè sei metri quadrati. Ventiquattro persone. “Sì sì, hai capito bene...”, ripete. Kidane è anche riuscito a girare un breve filmato nel cortile del Centro di Zintan, dove l'unico riparo dal sole bollente è un coperchio di latta.
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