Globalist
Il tragico naufragio al largo Sfax è il segno dell'esistenza di una rotta ai confini con la Libia. Tanti sono subsahariani ma tanti i tunisini che fuggono dalla crisi economica.
Chissà se qualcuno, in Parlamento, si inginocchierà anche per loro. In segno di rispetto, di dolore, ed anche di assunzione di responsabilità. Perché il drammatico naufragio di fronte alle coste tunisine, al largo della città di Sfax - nel quale decine di migranti risultano morti e dispersi, nell'affondamento di una precaria imbarcazione con cui volevano attraversare il Mediterraneo e arrivare in Europa, questa ennesima tragedia del mare, - racconta di una umanità che fugge non dal Coronavirus, o non solo da esso, ma da guerre dimenticate, da disastri ambientali, da una povertà assoluta.
È salito a 39 il numero dei cadaveri recuperati dalla Marina tunisina nell'area del mare situata tra El Louza (Jebeniana) e Kraten al largo delle isole Kerkennah, teatro del naufragio di un barcone con 53 migranti subsahariani a bordo, partito da Sfax nella notte tra il 4 ed il 5 giugno e diretto verso le coste italiane. Lo rende noto il sito informativo tunisie numerique precisando che i corpi rinvenuti appartengono a 22 donne, 9 uomini, 3 bambini, di vari paesi dell'Africa sub-sahariana e un tunisino originario di Sfax, che sarebbe stato al timone del peschereccio affondato. Ma il bilancio delle vittime potrebbe aumentare.
Unità della Marina militare e della Guardia costiera con l'ausilio dei sommozzatori delle forze armate e della protezione civile sono ancora al lavoro nel tratto di mare interessato dal naufragio alla ricerca di altri dispersi.
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Martedì la Guardia costiera di Tunisi aveva recuperato 20 corpi, ma circolava già la notizia, riportata da media tunisini, che lo scorso fine settimana 53 persone avevano preso il largo nel tentativo di raggiungere l'Italia.
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