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sabato 18 luglio 2020

Iran, slitta la condanna a morte di tre ventenni dopo campagna social. Condannati per aver partecipato a manifestazioni di protesta.

La Repubblica
Più di sei milioni di post per fermare l'esecuzione dei manifestanti arrestati durante le proteste per il caro benzina a novembre. Il regime teme nuove contestazioni di piazza. Ma Amnesty avverte: potrebbe trattarsi solo di un rinvio.


La campagna online per bloccare l'esecuzione di tre ventenni in Iran - che ha coinvolto migliaia di persone dentro e fuori dal Paese, con più di 6 milioni tra post e interazioni - ha prodotto un primo risultato: gli avvocati hanno avuto finalmente accesso a tutte le carte processuali e le esecuzioni - date per imminenti - potrebbero essere rimandate in attesa di un nuovo appello. 

"Oggi ci è stato fornito per intero il file relativo ai casi di Amirhossein Moradi, Saeed Tamjidi e Mohammad Rajabi da studiare; abbiamo presentato una richiesta iniziale per l'applicazione dell'articolo 477 (per chiedere la sospensione della pena, ndr), dopo uno studio approfondito, presenteremo un'altra richiesta", ha spiegato su Twitter Babak Paknia, uno dei legali dei tre ragazzi che li sta assistendo gratuitamente. "Siamo in attesa della notizia che l'attuazione della sentenza è stata interrotta".

L'articolo del codice di procedura penale iraniano citato dall'avvocato prevede che il capo della magistratura - che ora è Ebrahim Raisi - possa intervenire anche sulle sentenze passate in giudicato se violano la legge islamica. 

I condannati sono Amirhossein Moradi, Saeed Tamjidi e Mohammad Rajabi e hanno poco più di 20 anni. A novembre avevano partecipato alle proteste contro l'aumento del prezzo della benzina scoppiate in diverse città del Paese, le più ampie e imponenti degli ultimi 10 anni, represse duramente dal regime. 

Le organizzazioni per i diritti umani parlano di 500 vittime, Reuters di 1.500. Amirhossein, Saeed a Mohammad sono stati condannati a morte con accuse di "vandalismo" e di "atti di guerra" contro il regime perché avrebbero assaltato un distributore di benzina e passato le immagini delle manifestazioni ai giornali internazionali. Amnesty ha definito il processo a loro carico ingiusto e i gli avvocati dei tre ragazzi avevano denunicato pubblicamente che le loro confessioni erano state estorte loro con la violenza.

Quando la Corte suprema iraniana martedì ha confermato la condanna a morte in Iran è partita una campagna online con un livello di partecipazione senza precedenti nella storia dell'attivismo digitale del Paese: migliaia di persone si sono unite alla richiesta di fermare le esecuzioni con gli hashtag in persiano "non giustiziateli" e "basta esecuzioni in Iran". Attori, registi, calciatori ma soprattutto migliaia di cittadini comuni, i post condivisi e commentati sono ad ora più di 6 milioni su diverse piattaforme: è qualcosa di "mai visto prima", dice Amir Rashidi, che è un ricercatore digitale iraniano e studia l'attivismo online da diversi anni. "La campagna è partita da dentro l'Iran. Tantissimi cittadini comuni non si stanno curando del rischio di essere arrestati per un tweet e stanno chiedendo a gran voce, come una sola voce, di fermare le esecuzioni. Davvero notevole". Il rinvio dell'esecuzione non è una decisione definitiva e Amnesty mette in guardia dal rischio che scemata l'attenzione internazionale le autorità iraniane vadano avanti con la sentenza di morte.

L'Iran, dopo la Cina, è il Paese con il più alto numero di condanne a morte nel mondo, nel 2019 sono state almeno 251. Nelle ultime settimane ci sono state diverse esecuzioni, anche di un cittadino accusato di essere un informatore della Cia. Lunedì sono stati giustiziati due uomini curdi nella prigione di Urumieh nella provincia dell'Azerbaigian occidentale. Amnesty ha definito le esecuzioni "un'allarmante escalation nell'uso della pena di morte contro manifestanti, dissidenti e membri di minoranze in Iran". I due curdi, Diaku Rasoulzadeh e Sabre Sheikh Abdollah, erano stati condannati e condannati a morte nel 2015.

Le proteste di novembre avevano messo in grande allarme il regime, per l'ampiezza della loro diffusione ma anche per la partecipazione trasversale: in strada erano scesi soprattutto i ceti popolari delle periferie urbane e delle aree rurali, una fascia tradizionalmente più vicina al regime ma che più di altre sta pagando il prezzo della crisi economica. Il rischio per il governo è che la rabbia torni ad esplodere.

Gabriella Colarusso

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