Un “orrore in più” e una decisione “politica”, che “niente ha a che vedere con la sicurezza e con le gravi crisi sociali e sanitarie che stanno vivendo in questo momento gli Stati Uniti”. E non solo.
Anche “un passo indietro” nel cammino verso l’abolizione della pena di morte, mentre in tanti Paesi del mondo si va avanti. Mario Marazziti, coordinatore della campagna mondiale della Comunità di Sant’Egidio per la moratoria e l’abolizione della pena di morte, commenta così per l’agenzia Dire la ripresa delle esecuzioni di condannati da tribunali federali americani dopo 17 anni.
Il primo a essere giustiziato, oggi, tramite iniezione letale, è stato Daniel Lewis Lee, nell’Indiana, condannato nel 1996 per un pluriomicidio. Marazziti premette che “ogni esecuzione è una cattiva notizia”. Quella di oggi, fa notare il coordinatore della campagna, ‘Cities for Life – Cities Against the Death Penalty’, che raccoglie oltre 2.000 città nel mondo, è la prima di quattro condanne a morte decise da tribunali federali.
Secondo Marazziti, la decisione di riprendere le esecuzioni è il risultato “di una campagna elettorale permanente” da parte del presidente Donald Trump, improntata sui principi di “legge, ordine e paura”. Campagna elettorale “in difficoltà assoluta sul piano economico”, sostiene il coordinatore, messa ancora più in difficoltà da una “gestione surreale della pandemia di Covid-19, che sfiora il limite della corresponsabilità, viste le migliaia di vittime che si sarebbero potute evitare con politiche basate sulle indicazioni della scienza”.
A rendere ancora più difficile capire la scelta della Casa Bianca, secondo Marazziti, è la mobilitazione che ha generato. “Trump è andato avanti per la sua strada nonostante l’opposizione di tutti” dice Marazziti, che elenca: “Una richiesta ufficiale da parte del cardinale Joseph William Tobin, l’impegno dei vescovi, un ricorso alla Corte suprema e addirittura il parere negativo dei parenti della vittima”.
Una decisione nefasta, anche in quanto a tempismo. Marazziti ricorda i passi avanti fatti dagli Stati Uniti negli ultimi anni. “L’anno scorso – ricorda – solo sette Stati hanno applicato la pena di morte e ci sono state solo 22 esecuzioni e 33 condanne: si tratta di numeri storici”.
Nel mondo si continuano quindi a fare dei passi in avanti verso l’abolizione della pena capitale. Cattive notizie non sono arrivate però solo dagli Stati Uniti. E’ notizia di qualche giorno il verdetto della Corte suprema iraniana, che ha confermato la pena di morte per tre ventenni accusati di aver preso parte alle proteste del novembre 2019.
“L’Iran continua ad applicare la pena di morte – conferma Marazziti – e insieme a Paesi come l’Indonesia lo fa anche per crimini legati alla droga, niente di più inefficace”.
Secondo il coordinatore, non è questo il modo giusto di gestire il dissenso. ”L’Iran avrebbe tanto da guadagnare – dice Marazziti – se decidesse di seguire l’Europa, che è il primo continente al mondo libero dalla pena di morte”.
Il primo a essere giustiziato, oggi, tramite iniezione letale, è stato Daniel Lewis Lee, nell’Indiana, condannato nel 1996 per un pluriomicidio. Marazziti premette che “ogni esecuzione è una cattiva notizia”. Quella di oggi, fa notare il coordinatore della campagna, ‘Cities for Life – Cities Against the Death Penalty’, che raccoglie oltre 2.000 città nel mondo, è la prima di quattro condanne a morte decise da tribunali federali.
Secondo Marazziti, la decisione di riprendere le esecuzioni è il risultato “di una campagna elettorale permanente” da parte del presidente Donald Trump, improntata sui principi di “legge, ordine e paura”. Campagna elettorale “in difficoltà assoluta sul piano economico”, sostiene il coordinatore, messa ancora più in difficoltà da una “gestione surreale della pandemia di Covid-19, che sfiora il limite della corresponsabilità, viste le migliaia di vittime che si sarebbero potute evitare con politiche basate sulle indicazioni della scienza”.
A rendere ancora più difficile capire la scelta della Casa Bianca, secondo Marazziti, è la mobilitazione che ha generato. “Trump è andato avanti per la sua strada nonostante l’opposizione di tutti” dice Marazziti, che elenca: “Una richiesta ufficiale da parte del cardinale Joseph William Tobin, l’impegno dei vescovi, un ricorso alla Corte suprema e addirittura il parere negativo dei parenti della vittima”.
Una decisione nefasta, anche in quanto a tempismo. Marazziti ricorda i passi avanti fatti dagli Stati Uniti negli ultimi anni. “L’anno scorso – ricorda – solo sette Stati hanno applicato la pena di morte e ci sono state solo 22 esecuzioni e 33 condanne: si tratta di numeri storici”.
Nel mondo si continuano quindi a fare dei passi in avanti verso l’abolizione della pena capitale. Cattive notizie non sono arrivate però solo dagli Stati Uniti. E’ notizia di qualche giorno il verdetto della Corte suprema iraniana, che ha confermato la pena di morte per tre ventenni accusati di aver preso parte alle proteste del novembre 2019.
“L’Iran continua ad applicare la pena di morte – conferma Marazziti – e insieme a Paesi come l’Indonesia lo fa anche per crimini legati alla droga, niente di più inefficace”.
Secondo il coordinatore, non è questo il modo giusto di gestire il dissenso. ”L’Iran avrebbe tanto da guadagnare – dice Marazziti – se decidesse di seguire l’Europa, che è il primo continente al mondo libero dalla pena di morte”.
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