Non dalla guerra
Lo chiamano “the game”, il gioco, perché se si viene fermati e forzati a tornare indietro, l’unica cosa che si può fare giunti in quel punto è rimettersi a camminare e ricominciare il viaggio da capo. Come quando si perde in un gioco.Nonostante la continua militarizzazione della frontiera da parte di Bosnia, Croazia e Slovenia i flussi di persone che cercano di raggiungere l’Italia non si sono fermati nemmeno durante il periodo di pandemia, segno che i motivi che portano queste persone a lasciare il proprio paese sono ben più gravi dei rischi che questi sono portati a subire durante il percorso. Approfondiamo ciò che succede lungo la rotta balcanica grazie al contributo di Eleonora Camilli, giornalista ed esperta di immigrazione.
Le violenze sulla rotta balcanica, infatti, sono sistematiche e reiterate, documentate dalle numerose associazioni e ong attive con progetti a sostegno dei migranti che attraversano a piedi l’Europa centro-orientale e dai giornalisti che seguono le famiglie per un tratto del loro percorso. Moltissime sono le persone respinte, anche più volte, con metodi violenti e aggressivi durante i numerosi tentativi di oltrepassare la frontiera e continuare il viaggio verso il nord Europa.
Chi riesce ad arrivare in Italia è stremato, senza cibo e segnato sia a livello fisico che psicologico da un viaggio sempre più precario. La Bosnia, infatti, negli ultimi anni è diventata luogo chiave sia per la vita dei migranti, sia per i governi europei. Da una parte viene vista come la “porta ad est” per entrare in Unione Europea, dall’altra come uno dei principali ed importanti stati cuscinetto nella strategia di esternalizzazione delle frontiere che, come nel caso degli accordi con la Turchia e la Libia, punta a tenere le persone ai margini dell’Unione nonostante le disperate richieste di aiuto di migranti, richiedenti asilo e rifugiati.
ph: Michele Lapini
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