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mercoledì 30 settembre 2020

Nel Sud Sudan provato dalla guerra, livelli di fame catastrofici per una serie di alluvioni

greenreport.it
Le piogge torrenziali hanno lasciato centinaia di migliaia di senzatetto e gonfiato i campi profughi di chi era fuggito dalla guerra civile

Il World food programme (Wpf) ha lanciato un nuovo terribile allarme su quanto sta accadendo in Sud Sudan, lo Stato più giovane dell’africa che non ha ancora trovato la pace. Circa 700.000 persone sono in gravissime difficoltà dopo che una serie di alluvioni hanno colpito tutto il Paese, paese, sommergendo centri abitati, coltivazioni e bestiame.

Matthew Hollingworth, direttore del Wfp in Sud Sudan ha sottolineato che «Più di 36 contee del Paese sono sott’acqua, le alluvioni hanno sommerso interi villaggi, case, fattorie, uccidendo il bestiame e mettendo fine ai mezzi di sussistenza».

La situazione sembra particolarmente grave negli Stati di Jonglei e Unity, dove sono stati sommersi centri sanitari e abitazioni, molte comunità sono isolate e gli animali «giacciono morti nei campi». Le scuole che avrebbero dovuto aprire la prossima settimana «sono piene di senzatetto». Secondo Hollingworth, «L’inondazione è probabilmente la peggiore degli ultimi 60 anni, Le piogge di quest’anno sono iniziate prima che le acque alluvionali dell’anno scorso si fossero ritirate completamente».

Il Wfp dice che circa 5,5 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria, la metà della popolazione totale del Sud Sudan.

martedì 29 settembre 2020

Segnali positivi nella guerra in Yemen - Scambio di 1081 prigionieri tra il governo yemenita a guida saudita e gli Houthi

Blog Diritti Umani - Human Rights

Il governo yemenita, sostenuto da una coalizione militare a guida saudita, e il movimento Houthi hanno firmato un accordo per scambiare circa 15.000 detenuti.


Le due parti ora libereranno 1.081 detenuti e prigionieri, ha detto Griffiths in un briefing congiunto con il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) dopo gli inceri che si sono protratti per 10 giorni del comitato per lo scambio di prigionieri tenutasi nel villaggio svizzero di Glion presso il Lago di Ginevra.

Fonti Houthi hanno affermato che i ribelli avrebbero rilasciato 400 persone, tra cui 15 sauditi e quattro sudanesi, mentre la coalizione avrebbe liberato 681 combattenti Houthi nel più grande scambio dai colloqui di pace a Stoccolma nel dicembre 2018

Fonte: Aljazeera.com - Yemen gov’t, Houthis agree to exchange over 1,000 prisoners

ES

domenica 27 settembre 2020

"Giornata mondiale del migrante" e in questa settimana, cinque naufragi: 200 migranti morti in un mare di indifferenza

Avvenire
Nel più tragico solo in 9 su 120 si sono salvati. Distrutta anche un'intera famiglia con quattro figli. E la Libia è sempre più inaffidabile


Cinque stragi in una settimana. Almeno 200 morti lungo la rotta dalla Libia all’Europa. E nessuna nave di soccorso in mare, bloccate dai provvedimenti italiani che ostacolano gli interventi della flotta civile, e da un’Europa che promette solidarietà, ma continua a cooperare con le autorità di Tripoli, niente affatto estranee alla continua mattanza.

Dei cinque naufragi segnalati negli ultimi giorni, il più grave è avvenuto il 21 settembre e si è saputo solo oggi, sabato: 111 morti. «Solo 9 delle 120 persone sono vive, soccorse da un pescatore dopo giorni in mare. Con i sopravvissuti stiamo ricostruendo gli eventi. Serve assistenza medica urgente», scrive su Twitter Alarm Phone.

«Tra le vittime ci sono Oumar, Fatima e i loro 4 figli» aggiunge l’organizzazione che raccoglie le chiamate d’emergenza in tutto il Mediterraneo. Segnalazioni di altri naufragi sono arrivati anche da Cipro e dall’Algeria.

Nella notte tra venerdì e sabato «120 migranti riportati in Libia hanno riferito allo staff dell’Oim che 15 persone sono annegate quando il loro gommone ha iniziato a sgonfiarsi», conferma Safa Msehli, portavoce dell’agenzia Onu per le migrazioni.

Secondo l’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr-Acnur) al 23 settembre 8.247 persone sono state registrate come intercettate in mare dalla cosiddetta Guardia costiera libica.

La gran parte viene portata nei campi di prigionia ufficiali, dove poi molti vengono fatti sparire. Il 15 settembre, votando il rinnovo della missione Onu in Libia, il Consiglio di sicurezza ha espresso «grave preoccupazione per il deterioramento della situazione umanitaria» e per la situazione «affrontata da migranti, rifugiati e sfollati interni, inclusa la loro esposizione alla violenza sessuale e di genere».

Nello Scavo

sabato 26 settembre 2020

Migranti, "Tra la vita e la morte": nuove prove delle violenze contro rifugiati nelle prigioni della Libia nel "Report" di Amnesty

La Repubblica
Nuovo rapporto di Amnesty international sulle violazioni dei diritti umani nelle carceri libiche. La pubblicazione il giorno successivo all’annuncio dell'UE di nuovo “patto sull’immigrazione”


Un nuovo rapporto di Amnesty international ribadisce le violazioni dei diritti umani che proseguono nelle carceri libiche. Il rapporto si chiama “Tra la vita e la morte” e viene pubblicato da Amnesty International il giorno dopo l’annuncio della Commissione Europea del suo nuovo “patto sull’immigrazione”, che non porta novità positive.

Il documento della Commissione, infatti, baserà il controllo dei flussi migratori su una cooperazione ancora più stretta con gli stati esterni all’Unione Europea ed è criticato da molte associazioni, operatori e operatrici umanitari.

Cosa succede in Libia. Nel rapporto di Amnesty si leggono resoconti agghiaccianti di migranti e rifugiati vittime o spettatori di torture, sparizioni, uccisioni, sfruttamento di altri esseri umani da parte di attori statali e non statali, come milizie, gruppi armati e trafficanti. “Nonostante le evidenze, anche quest’anno l’Unione Europea sta portando avanti politiche che intrappolano decine di migliaia di uomini, donne e bambini in un circolo vizioso di crudeltà, dimostrando disprezzo per le loro vite e la loro dignità” afferma amareggiata Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty per il Medio oriente e nord Africa.

Bloccare la collaborazione con le autorità libiche. Dal 2016, gli stati membri dell’UE tra cui l’Italia collaborano con la Libia attraverso fornitura di imbarcazioni veloci, formazione e assistenza nel coordinamento delle operazioni in mare, per far sì che chi intraprende il viaggio verso l’Europa sia intercettato e riportato indietro, aggirando così il divieto internazionale di respingimento. Si stima che dal 2016 siano state riportate in Libia 60.000 persone, più di 8.000 solo nel 2020.

Comandante della guardia costiera con mandato di arresto. Nel rapporto si legge di persone ricercate per crimini umanitari. Tra queste, Abdelrahman Milad, detto “al-Bija”, comandante della guardia costiera presso la città portuale di Al-Zawiya. Il suo nome figura nella lista di persone sottoposte a sanzioni da parte dell’ONU per il suo coinvolgimento nel traffico di esseri umani. Non ci sono alternative legali alla traversata in mare. 
Al momento, i programmi di evacuazione e reinsediamento non bastano ad assicurare un’uscita legale e sicura dalla Libia. Poco più di 5700 rifugiati in condizione di vulnerabilità ha beneficiato di questi programmi all’11 settembre 2020.

Il sistema attuale non funziona: ce ne vuole uno diverso. “Siamo pronti ad attraversare il mare. Non c’è alcuna evacuazione, alcun reinsediamento. I rifugiati in Libia sono in pericolo. 

Siamo tra la vita e la morte”, ha dichiarato ad agosto un rifugiato ad Amnesty International. Pandemia, razzismo e discriminazione. La pandemia ha esacerbato il razzismo e sempre di più i migranti sono accusati di aver diffuso il virus nel Paese, e si chiede la loro espulsione. 

Le ricerche di Amnesty hanno rivelato che nel 2020 le autorità che controllano la Libia orientale hanno espulso oltre 5000 rifugiati e migranti senza un giusto processo e senza che potessero contestare il provvedimento. L’accusa per tutti era quella di essere “veicoli di malattie contagiose”. 

In un caso evidente di discriminazione, un gruppo armato ha impedito a un pullman di entrare nella città sudorientale di Kufra, fino a quando non ne fossero scesi tre cittadini del Ciad. 

Questi sono stati costretti a fare il tampone e sono stati poi lasciati nel deserto fuori dalla città. I restanti passeggeri, tutti di nazionalità libica, hanno potuto procedere senza essere sottoposti ad alcun test.

Flavia Carlorecchio

Usa, Indiana - Pena di morte - Ucciso Christopher Vialva, 40 anni per un delitto commesso a 19 anni.

TGCom24
Christopher Vialva, 40 anni, era stato condannato per un duplice omicidio commesso nel 1999, quando aveva 19 anni.

Christopher Vialva, 40 anni

Il detenuto Christopher Vialva, 40 anni, è stato ucciso con una iniezione letale in una prigione governativa americana a Terre Haute, in Indiana. E' la settima volta che la pena di morte federale viene eseguita negli Stati Uniti da luglio e la prima volta su un detenuto afroamericano da quando è stata ripristinata dall'amministrazione Trump. 

Uccise da adolescente - Dopo 70 anni negli Stati Uniti un detenuto viene condannato a morte per crimini commessi da adolescente, a più di vent'anni di distanza. 

E ora l'America si interroga: Christopher Valva era ancora lo stesso criminale capace di uccidere una giovane coppia a sangue freddo oppure era un uomo cambiato e pentito dopo la prigionia? 

Lisa Brown, la madre di Valva, è convinta che suo figlio fosse una persona nuova: "Mio figlio vuole che sappiate che è profondamente pentito per il dolore che ha causato", ha detto rivolgendosi alla famiglia delle vittime. Ma le suppliche della donna non sono servite ad evitare la pena capitale.

giovedì 24 settembre 2020

Le fiamme di Lesbo risveglino le coscienze - Serve un'intesa fra Ue, singole nazioni, Chiese e Ong per risolvere un dramma alle porte del continente - di Andrea Riccardi

Famiglia Cristiana 

Il campo di Moria nell'isola di Lesbo è bruciato. Ci sono solo rovine. Ben 13.000 profughi sono sulla strada. Girano laceri, senza ricovero e affamati. Conosco Moria, un campo incredibile: tra l'altro era circondato da una selva di tende "provvisorie", destinate a durare a lungo, sotto il grande caldo estivo e il vento sferzante d'inverno. 


Il primo lembo d'Europa, toccato da migliaia e migliaia di persone, dopo viaggi incredibili dall'Afghanistan, dalla Siria, dai Paesi africani e altrove. L'Europa sfugge però dalle loro mani, proprio mentre vi pongono i piedi. Lesbo, con i suoi campi, è un muro: l'Europa sta lì, ma non possono entrarci. In questa posizione passano mesi e talvolta anni, un tempo senza fine, mentre cresce la disperazione.

Quest'estate - anche a causa del Covid-19 - le misure sono state più severe. Il clima è divenuto più teso con una parte degli abitanti dell'isola (di cui non va dimenticata l'accoglienza all'inizio e anche una bonarietà diffusa).

La pandemia ha peggiorato la situazione. Il campo di 13.000 profughi è non lontano dalla città di Mitilene, con 37.000 abitanti. Si capiscono le tensioni. Sono cresciuti i gruppi sovranisti ostili ai migranti. Qualche volta ci sono state manifestazioni dure, come proibire loro di fare il bagno in mare o altro. Anche qualche piccolo incendio non lontano dal campo.

Quando nel 2018, dopo un mio viaggio a Lesbo, parlai della desolazione umana dei campi a papa Francesco, richiamando la sua visita del 2016, il suo volto si segnò di dolore: «Non basta una visita, bisogna far di più!» disse. Nel 2016 era tornato a Roma con una ventina di rifugiati. La sua presenza mise in luce che c'era una frontiera europea del dolore.

La Comunità di Sant'Egidio ha passato l'estate a Mitilene con i profughi: scuola, studio dell'inglese, cibo, feste, incontri, colloqui per identificare le prospettive del futuro... Questo è avvenuto a fianco dell'apertura di due corridoi umanitari che hanno portato in Italia alcuni di loro: una sessantina di persone. Il presidente Macron ne ha disposto un altro per una trentina. La Germania andrà a prendere una trentina di rifugiati e, dopo l'incendio, ne accoglierà altri. L'arcivescovo del Lussemburgo ha accolto due famiglie e, come presidente della COMECE, che riunisce le Chiese cattoliche nell'UE, ha sollecitato le conferenze episcopali a farsi carico del dramma di Lesbo.

Le fiamme, però, risvegliano le istituzioni di ogni tipo, addormentate o distratte di fronte al dramma alle porte dell'Europa. Quello di Lesbo sembra un incendio appiccato volontariamente. Da chi? Per ora non si sa. Potrebbero essere alcuni ospiti del campo. Forse ci sono interessi oscuri. O solo rabbia. Ma è l'esito scontato di una situazione impossibile. La questione è scoppiata.
Ci vuole un'alleanza di "volenterosi" per rimediare a una situazione incancrenita: Unione Europea, singoli Stati, Chiese, organizzazioni umanitarie e tant'altro. Non si può scaricare il problema sulla Grecia né attendere un altro incendio. 
Ma già si delineano alcuni no da parte dei Paesi dell'Est e dell'Austria.

Come possiamo continuare a chiamarci europei, quando tanto dolore si accalca alle nostre frontiere e ci voltiamo dall'altra parte?

Andrea Riccardi

martedì 22 settembre 2020

Somalia - Spose bambine - Disegno di legge che consente matrimoni precoci e le unioni forzate dopo violenza sessuale

GreenMe
Non si arrestano le proteste in Somalia dopo che il Parlamento sta valutando un disegno di legge che consentirebbe il matrimonio precoce una volta che gli organi sessuali di una bambina saranno sviluppati e consentirebbe, post violenza sessuale, l’unione forzata se la famiglia darà il proprio consenso.


Anni di battaglie per garantire maggiori diritti alle donne e poi una proposta che annullerebbe tutto. La Somalia rimane uno dei paesi più conservatori al mondo e il nuovo progetto di legge sui crimini legati ai rapporti sessuali “rappresenterebbe una grave battuta d’arresto nella lotta contro la violenza sessuale in Somalia e in tutto il mondo” e dovrebbe essere ritirato immediatamente, ha detto in una dichiarazione il rappresentante speciale delle Nazioni Unite Pramila Patten.

Secondo un’analisi delle Nazioni Unite tra il 2014 e il 2015, più del 45% delle bambine in Somalia si sono sposate prima dei 18 anni.
Nel 2013, il paese aveva promesso di migliorare la condizione delle donne, ma in tema di reati sessuali nessun disegno di legge è mai stato approvato.Il nuovo disegno di legge “rischia di legittimare i matrimoni precoci tra le altre pratiche allarmanti, e questo deve essere impedito”, ha detto Michelle Bachelet, capo delle Nazioni Unite per i diritti umani, avvertendo che la sua approvazione “manderebbe un segnale preoccupante agli altri stati della regione”.

Per questo, migliaia di persone protestano e hanno lanciato anche una petizione locale. Il nuovo controverso disegno di legge arriva mentre i gruppi per i diritti delle donne si preoccupano apertamente che la pandemia di coronavirus e le relative restrizioni ai viaggi in Somalia abbiano peggiorato la violenza contro le donne e le mutilazioni genitali femminili. Quasi tutte le donne e le ragazze somale sono state sottoposte a tale pratica.

Circa il 68% delle oltre 300 organizzazioni che opera nel paese, ha segnalato un aumento della violenza di genere, compreso lo stupro, dall’inizio della pandemia. Quasi un terzo degli intervistati ha affermato di ritenere che i matrimoni precoci siano aumentati in parte a causa delle pressioni economiche e in parte perché le scuole sono state chiuse, senza dimenticare che con l’accesso limitato alle strutture sanitarie, i rischi per la salute delle donne sono altissimi.

Fonte: AP

domenica 20 settembre 2020

Bielorussia - L'associazione per i diritti umani VESNA riferisce che sabato a Minsk, sono stati arrestati 316 manifestanti in maggior parte donne.

Blog Diritti Umani - Human Rights
Il centro bielorusso per i diritti umani Vesna ha riferito che sabato le forze dell'ordine hanno arrestato almeno 316 partecipanti alla manifestazione dell'opposizione, la maggior parte di loro sono donne.

Il centro ha pubblicato un elenco di nomi sul suo sito aggiungendo che le informazioni sono in fase di aggiornamento.

Secondo gli attivisti per i diritti umani, una delle detenute, Inna Romashevskaya, è un'impiegata presso l'ambasciata britannica a Minsk, ma non ci sono informazioni sul suo status di immunità.

Vesna ha detto che la polizia ha già rilasciato Nina Baginskaya, un'anziana attivista dell'opposizione.

Fonte: TASS

Londra - L' avvocatessa Amal Clooney difensore dei diritti umani di dimette di consulente del governo. Il Regno Unito non rispetta i trattati internazionali.

Il Secolo XIX
L'avvocatessa lascia l'incarico di emissaria per i media e la libertà di stampa: e’ diventato impossibile «chiedere agli altri Stati di rispettare gli obblighi internazionali quando il Regno Unito dichiara che non intende farlo»

Non sono le prime dimissioni per protesta contro il controverso disegno di legge sulla Brexit che viola il diritto internazionale, ma fanno molto rumore. Soprattutto fuori da Westminster. 

Amal Clooney, avvocato impegnato nella difesa dei diritti umani e moglie della superstar George, abbandona il ruolo di consulente del governo britannico per la libertà d’informazione. «Non ho alternative alle dimissioni», dice nella lettera indirizzata al ministro degli Esteri Dominic Raab. «Sono delusa di doverlo fare, sono sempre stata orgogliosa della reputazione del Regno Unito quale campione dell’ordine giuridico internazionale e della cultura del fair play». 

Ma, con la logica ineccepibile di chi e’ abituato alle aule di tribunale, Amal sottolinea che e’ diventato impossibile «chiedere agli altri Stati di rispettare gli obblighi internazionali quando il Regno Unito dichiara che non intende farlo». Un (ulteriore) danno di immagine per un Paese che al momento non ne ha davvero bisogno, inflitto non da uno dei paludati conservatori che dai corridoi di Westminster si lamentano di Boris Johnson, ma da una professionista di alto profilo nonché “celebrity” globale.

La pietra dello scandalo e’, nemmeno a dirlo, legata alla Brexit, e in particolare ad un disegno di legge che mira ad aggirare alcune delle norme contenute nell’accordo di divorzio tra Bruxelles e Londra siglato appena un anno fa. 
Un testo necessario a preservare l’integrità del Regno Unito, secondo il primo ministro, ma che, per surreale ammissione stessa del governo, viola il diritto internazionale «in maniera specifica e limitata». 

 Amal, che lascia un incarico di emissario speciale del Foreign Office britannico per promuovere la libertà d'informazione nel mondo, si e’ detta «sconcertata» dalla mossa del governo, che ha definito «deplorevole». La sua decisione, ha spiegato nella lettera di dimissioni, e’ stata presa al termine di un incontro con Raab in cui, dice, non ha avuto «alcuna rassicurazione su un cambiamento di posizione imminente» riguardo alla legge.

Alessandra Rizzo

sabato 19 settembre 2020

Lesbo - Continua l'operazione per trasferire 12.000 rifugiati nel "New Camp" di Kara Tepe

Blog Diritti Umani - Human Rights 

Dopo l'incendio che ha causato la totale distruzione del campo profughi di Moria, più di 12.000 sono riparti senza cibo e riparo persuada per giorni. 

Altri 2.000 profughi hanno trovato riparo nella nuova struttura di accoglienza temporanea di Kara Tepe, nell'isola di Lesbo, raggiungendo le 7.000 unità. 






Niger, 9mila rifugiati senza casa per piogge e inondazioni - Situazione è fuori controllo. Almeno 65 le vittime

LaPresse
Il Niger è uno dei paesi più poveri del continente africano e, da almeno due mesi, si trova a dover affrontare un altro problema. Le forti piogge hanno causato gravi inondazioni. Almeno 65 persone hanno perso la vita e importanti danni sono stati fatti all'agricoltura e alle infrastrutture del Paese. 

Novemila persone, tra rifugiati e richiedenti asilo, sono rimaste senza cibo e un posto dove dormire e a causa della scarsa igene rischiano di contrarre infezioni come Covid19, malaria e colera. 

Le Nazioni Unite stanno facendo il possibile, ma le piogge continuano e la situazione potrebbe peggiorare.

venerdì 18 settembre 2020

Grecia - Dopo l'incendio del campo profughi di Moria, pochi rifugiati vogliono andare nel nuovo campo visto come una prigione

Linkiesta
«Dentro un’altra prigione non ci vogliamo andare, siamo stati a Moria per un anno e ora vogliamo andare sulla terraferma», ha detto Shamsia, una donna afghana che ha improvvisato un piccolo fuoco vicino alla sua tenda per friggere del pane per la famiglia.

Le migliaia di sfollati del campo di Moria in strada da giorni

La strada che collega il vecchio campo di Moria dall’accampamento spontaneo degli sfollati è un via vai di persone che trascinano dietro di loro ogni cosa abbiano potuto trovare e che potrebbe essere utile. Chilometri e chilometri con una cassa di plastica attaccata ad una corda legata alla vita, il sudore che bagna completamente le maglie sotto il sole di Lesbo con i suoi 30°C.


«Abbiamo perso tutto e quindi ogni cosa ci può essere utile. Quella notte siamo stati svegliati dalle urla delle persone e siamo scappati solo con i vestiti, è un miracolo che siamo vivi» racconta un ragazzo che si aggira nella zona Ovest del vecchio campo di Moria, quella che in parte si è salvata. Prende un grande peluche a forma di orso e lo mette in un cassonetto. «Siamo stati fortunati, il cassonetto ha le ruote e contiene più cose di una cassetta di plastica» aggiunge mentre con un suo amico iniziano a spingerlo verso il nuovo insediamento fatto di canne di bambù e coperte. Oltre all’orso e a qualche altro oggetto che si è salvato, il campo di Moria è completamente distrutto: delle 12.000 persone che vivevano ammassate qui dentro è rimasta solo la cenere delle tende e dei container, oltre che una folta popolazione di gatti e cani che si aggirano affamati e disorientati per quello che è successo.

«La notte dell’incendio io ero lungo il perimetro del campo per fare primissimo intervento, mentre i miei colleghi erano all’interno della nostra clinica, pronti a intervenire in caso di necessità», racconta Giovanna Scaccabarozzi, dottoressa di Medici senza frontiere con alle spalle molta esperienza tra le navi delle Ong e la crisi d’Ebola in Africa. «È stato quasi irreale vedere quelle fiamme altissime mangiare il campo a poco a poco, ma per fortuna quasi tutte le persone sono riuscite a scappare», aggiunge mentre si prepara per andare nella “zona rossa”, ovvero dove sorge il grande accampamento spontaneo. «Abbiamo molti pazienti che hanno necessità giornaliere, donne in gravidanza che non sappiamo dove siano, così come quelle psichiatriche della nostra clinica di Mytilene. Ogni giorno andiamo nel campo per dare assistenza a chi ne ha bisogno e a cercare i vecchi pazienti», chiosa la dottoressa.

Le persone sfollate fino a questa mattina erano circa 11.000 visto che solamente mille avevano accettato spontaneamente di andare nel nuovo campo che l’esercito greco ha costruito in tempi record. «Dentro un’altra prigione non ci vogliamo andare, siamo stati a Moria per un anno e ora vogliamo andare sulla terraferma” diceva ieri Shamsia, una donna afghana che ha improvvisato un piccolo fuoco vicino alla sua tenda, così può friggere il pane per la famiglia. «Ci hanno detto che se non accettiamo di andare nel nuovo campo non saremo trasferiti sulla terraferma ma sappiamo anche che se decidiamo di entrare non possiamo più uscire», aggiungeva la figlia di 19 anni che sogna di studiare in Italia. Chi entra nel campo governativo non può uscire, ufficialmente per restrizioni dovute al Covid anche se al momento sono circa 30 i positivi e sono tutti isolati.

Nonostante gli iniziali proclami del governo greco, quindi, il nuovo campo è stato accolto con grande freddezza dai rifugiati e alla fine lo hanno accettato solo per sfinimento: «Se non entriamo non ci registrano e non ci danno i documenti per andarcene da qui», dicono tutti mentre si dirigono verso il campo. In realtà il governo ha usato la linea dura anche sul cibo e sull’acqua. Nell’accampamento lungo la litoranea la distribuzione la facevano solo le organizzazioni di attivisti e volontari e il cibo non bastava per tutti. La fila raggiungeva più di un chilometro di lunghezza e il cibo non bastava mai per tutti. «Ho tre figli piccoli, vogliono che muoiano di fame», urlava Aisha, una donna siriana che non era riuscita a prendere il suo pacco e doveva aspettare altre 24 ore prima di riprovare.

Nonostante questo primo risultato positivo per il governo greco la partita è ancora tutta da giocare, i rifugiati non si fidano delle promesse del Ministro della Protezione Civile, Michalis Chrysochoidis, secondo il quale «entro Natale verranno spostati i primi 6.000 sulla terraferma e gli altri 6.000 entro Pasqua».

Non è bastata nemmeno la visita di Charles Michel, il Presidente del Consiglio Europeo che in una conferenza stampa improvvisata nel nuovo campo ha detto che stanno lavorando perché “le cose migliorino”, nonostante questo nuovo insediamento sia fatto di tende di sola plastica, calde d’estate e fredde d’inverno, e installate su una spianata di terra, pronta a diventare di fango con le prime piogge. Michel ha parlato anche di collaborazione tra gli Stati europei ma al momento solamente la Germania ha proposto di accogliere 1.500 persone da Moria mentre un gruppo di 10 Stati si è fatto avanti per accogliere i 500 minori non accompagnati.

«Siamo in viaggio da 3 anni, io posso anche tornare in Afghanistan perché ormai la mia vita è segnata, però voglio che i miei figli abbiamo una possibilità di studiare ed essere liberi», chiosa Shamsia. Un appello che sembra un tentativo disperato di uscire da questo stallo.

Valerio Nicolosi

mercoledì 16 settembre 2020

Turchia - Arrestati 60 avvocati difensori di dissidenti accusati di complicità con gruppi terroristici

Corriere della Sera
In Turchia 60 persone tra avvocati, praticanti, laureati in legge e giudici sono stati arrestati perche’ stavano difendendo persone accusate di reati collegati al terrorismo e sono stati a loro volta accusati di complicita’ con gruppi terroristi. 


A riferirlo l’agenzia di stampa Anadolu, secondo cui tutti stavano seguendo casi di persone sospettate di far parte del gruppo del chierico Fetullah Gulen, oppositore del presidente Racep Tayyip Erdogan considerato la mente del fallito colpo di stato del 2016.

Sempre secondo Anadolu, le indagini condotte dalla procura hanno portato a spiccare 60 mandati d’arresto per affiliazione al movimento, e venerdi’ in sette diversi comuni della provincia di Ankara la polizia ha arrestato 48 avvocati, sette praticanti, quattro giudici gia’ precedentemente licenziati e un laureato in giurisprudenza.

Secondo Arrested Lawyers (Al), organizzazione che si batte per i diritti degli avvocati in Turchia, i professionisti sono stati arrestati come atto di “ritorsione per il lavoro che stavano svolgendo, in difesa di persone sospettate di affiliazione terroristica”. 
Un atto che viola la Convenzione internazionale dell’Avana, secondo cui “gli avvocati non possono essere identificati con i loro clienti o con i casi dei loro clienti nello svolgimento delle proprie funzioni”.

All’appello rivolto alla magistratura turca a non criminalizzare la professione hanno aderito gli ordini degli avvocati di Ankara, Istanbul, Smirne, Mardin, Sanliurfa, Gaziantep e Van, insieme alla Progressive Lawyers association e ad altri otto raggruppamenti con sede ad Istanbul.

In una nota, Arrested Lawyers denuncia che dopo la riforma degli ordini degli avvocati che il governo ha promosso a luglio le autorita’ hanno accelerato la pratica di criminalizzare quei legali che seguono casi di prigionieri di coscienza finiti in manette per la loro dissidenza politica. I 60 professionisti arrestati venerdi’ – fa sapere Al – si occupavano di persone che avevano a loro volta denunciato torture da parte delle forze di sicurezza oppure erano state vittime di sparizioni forzate.

L’ong calcola che migliaia tra giornalisti, attivisti, oppositori, intellettuali e avvocati siano attualmente incarcerati a causa di “una legge sul terrorismo molto generica che permette di far ricadere in questa fattispecie di reato ogni atto di critica o opposizione all’autorita’”.

A confermare il sospetto di un processo di criminalizzione contro giudici e avvocati, Arrested Lawyers cita parole di Erdogan pronunciate durante il suo discorso per l’apertura dell’anno giudiziario: “Quegli avvocati che difenderanno persone accusate di terrorismo non possono che essere dei terroristi. Se agiscono in questo modo, devono pagare anche loro”.

domenica 13 settembre 2020

Iran - Pena di morte - Eseguita la condanna del campione Navid. Testimoniaza estorta con la tortura e la famiglia della vittima disposta a perdonare

Huffpost
Il campione di lotta iraniano Navid Afkari ha perso la sua battaglia per la vita. Oggi è stato giustiziato in un carcere di Shiraz, dopo due condanne a morte per aver ucciso un funzionario pubblico nel corso di una delle tante manifestazioni svoltesi in Iran nel corso del 2018: tutte proteste originate da un profondo malessere economico e sociale, ma che in molti casi avevano finito per investire anche il sistema e le massime cariche della Repubblica Islamica. 

Credit: Graeme Sloan / Ipa / Fotogramma

Inutile dunque è stata la mobilitazione internazionale per la salvezza di Navid, con gli appelli lanciati anche da Amnesty International alla comunità internazionale ad intervenire presso le autorità iraniane per salvarlo dall’esecuzione. Con lui erano stati condannati anche i due fratelli Vahid e Habib, cui sono stati inflitti 54 e 27 anni di carcere. Tutti e tre avevano denunciato di avere subito torture in carcere, Vahid aveva confessato in pubblico sulla tv di stato ma poi ha ritrattato perché la sua confessione gli era stata estorta con la tortura, ha detto il suo legale Hassan Younesi. La richiesta di una revisione della sentenza sarebbe stata respinta in modo sommario dalla Corte suprema.

mercoledì 9 settembre 2020

Grecia, incendio nel campo migranti di Moria a Lesbo: migliaia in fuga nella notte. Atene dichiara lo stato di emergenza sull’isola per 4 mesi

Il Fatto Quotidiano
Secondo alcune fonti le fiamme sono state appiccate deliberatamente contro le nuove restrizioni anti-Covid. In 35 erano risultati positivi al virus. La commissaria Ue Ylva Johansson. "Ho accettato di finanziare il trasferimento immediato e l’alloggio sulla terraferma dei 400 bambini e adolescenti non accompagnati". Cinquanta andranno in Norvegia, Germania pronta a ospitare. Denuncia Msf: "Le persone a Moria vivono in condizioni disumane da anni"


Il campo profughi di Moria, situato sull’isola greca di Lesbo, è stato quasi completamente distrutto dalle fiamme dopo una serie di incendi scoppiati nella notte. Stando alle prime informazioni, migliaia di persone sono fuggite, anche se il sindaco di Mitilene (la città principale dell’isola) ha detto alla radio privata Skai Stratos Kytelis che “più di 12mila migranti sono sorvegliati dalla poliziasu un’autostrada”. 

Al momento non si hanno notizie di feriti, ma preoccupa la possibilità che tra le persone fuggite possa esserci qualcuno positivo al coronavirus, dato che la settimana scorsa 35 ospiti sono risultati positivi al tampone. Nel campo, ricorda l’Agenzia dell’Onu per i Rifugiati, sono presenti “più di 4mila bambini e altri gruppi vulnerabili, inclusi 407 bambini non accompagnati, donne incinte e anziani”.


Le fiamme sono state domate, ma hanno distrutto il centro sanitario e ampie aree residenziali.. Una situazione che ha spinto il governo greco a dichiarare a Lesbo lo stato di emergenza per 4 mesi. Il portavoce dell’esecutivo, Stelios Petsas, ha annunciato la decisione a seguito di una riunione di emergenza presieduta dal primo ministro Kyriakos Mitsotakis. Con lo stato di emergenza, Atene ha inviato tutte le forze, compresa la polizia, il personale antincendio e altri lavoratori pubblici per sostenere l’isola e i richiedenti asilo. 

Nel pomeriggio sono attesi sul posto il ministro dell’Interno Takis Theodorikakos, il ministro dell’Immigrazione Notis Mitarachi e il presidente dell’Organizzazione nazionale per la sanità pubblica Panagiotis Arkoumaneas. 

“Finora non è stata registrata alcuna perdita di vite umane, mentre i 408 minori rifugiati non accompagnati sono stati trasferiti in un luogo sicuro. Stanno bene. La priorità è proteggere i vulnerabili che vivevano a Moria. Stiamo per trasferirli in hotel sicuri e in altri alloggi”, ha detto il viceministro della Sanità Giorgos Koumoutsakos.

La reazione dell‘Unione europea non si è fatta attendere: la commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson scrive su Twitter di aver “già accettato di finanziare il trasferimento immediato e l’alloggio sulla terraferma dei restanti 400 bambini e adolescenti non accompagnati” in quanto, aggiunge, “la sicurezza e il riparo di tutte le persone a Moria sono la priorità”. 

Solidarietà unanime da parte delle autorità europee, tra cui il presidente del Parlamento europeo David Sassoli (che parla di “emergenza umanitaria”) e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ha chiesto al vicepresidente Margheritis Schinas “di andare in Grecia al più presto”. 

Intervenuto anche Charles Michel, presidente del Consiglio europeo: “Siamo in contatto con le autorità greche e pronti a mobilitare il nostro aiuto. Piena solidarietà con gli abitanti di Lesbo che stanno fornendo riparo ai migranti e allo staff”. Vicinanza espressa anche dal commissario europeo Paolo Gentiloni: “La Commissione europea collabora con le autorità greche per gestire l’emergenza umanitaria” scrive in un tweet. Intanto la Norvegia, attraverso le parole della premier Erna Solberg, ha già deciso di accogliere 50 dei residenti registrati nel campo di Lesbo, dando priorità ai “più vulnerabili”, ovvero le famiglie con bambini e i minori di 14 anni.

FQ

martedì 8 settembre 2020

Bielorussia: 'rapita' oppositrice Kolesnikova. Testimone, caricata su minibus a Minsk da uomini mascherati

ANSA
Maria Kolesnikova, capo della campagna elettorale del candidato (non ammesso) Viktor Babariko nonché alleata di Svetlana Tikhanovskaya, sarebbe stata caricata a bordo di un minibus con la scritta "comunicazione" da persone non identificate mascherate e portata via in una direzione sconosciuta. 

Lo fa sapere al portale Tut.by una testimone oculare. Il fatto sarebbe avvenuto nei pressi del Museo d'Arte Nazionale. "Il telefono di Kolesnikova è disponibile, ma non risponde al telefono", scrive Tut.by. "Il portavoce del Consiglio di coordinamento dell'Opposizione, Anton Rodnenkov, ha detto che Maria era sola nel centro della città per affari."

lunedì 7 settembre 2020

Messico, sono più di 75mila le persone scomparse e le vittime non hanno ancora ricevuto giustizia, altri 2.332 nei primi 6 mesi del 2020

La Repubblica
Città del Messico - L'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani(OHCHR) ha appena celebrato la decisione del Senato della Repubblica messicana di riconoscere la competenza del Comitato contro il triste fenomeno della sparizione forzata, dei cosiddetti desaparecidos. Un chiaro messaggio della priorità che dovrebbe avere per tutte le autorità messicane questo terribile problema.

Foto: AP
I numeri dei desaparcidos e le fosse clandestine. Il ministro Alejandro Encinas Rodríguez ha sottolineato in una conferenza stampa lo scorso agosto che il numero delle sparizioni è fortemente sceso. Tra gennaio e giugno 2019 sono stati registrati 3.679 scomparsi, mentre per lo stesso periodo del 2020 sono stati segnalati 2.332 casi. Bisogna sempre considerare che non si tratta di cifre assolute in quanto vi sono sei Stati che non hanno forniscono tutti i dati. Da quando Andrés Manuel López Obrador ha assunto la presidenza, 63.523 persone sono scomparse. Di questi, 35mila 652 sono stati trovati e 27mila 871 persone ancora non sono state trovate: 33.327 furono trovati vivi e 2.352 morti. Per quanto riguarda le fosse clandestine, il ministro ha detto che dal dicembre 2006 ad oggi le tombe illegali sono 3.978, di cui 6.625 sono state riesumate.

Un problema dimenticato per anni. Il governo messicano dopo questa decisione deve rispettare le molteplici raccomandazioni formulate da diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani, e che il riconoscimento della competenza del Comitato contro la sparizione forzata significa l’obbligo di ricevere ed esaminare tutte le denunce, e soprattutto aprire il cammino a una attenzione specializzata alle vittime per proteggere i loro diritti, lavorando per garantire la non ripetizione. Dal 2013 il Comitato delle Nazioni Unite contro le sparizioni forzate ha chiesto al Messico di effettuare una visita nel Paese per esaminare direttamente il problema dei desaparecidos, con l'intento di identificare le linee d'azione per proteggere i diritti delle persone. Un impegno preso il 30 agosto dal presidente Andrés Manuel López Obrador.

Quegli undicimila in più. La cifra di 73mila 201 scomparsi rappresenta un aumento di oltre 11mila rispetto all'ultima volta che sono state offerte queste cifre, che era il 6 gennaio, quando il numero delle persone era stimato a 61mila 637. Questo non vuol dire che negli ultimi sette mesi siano scomparse 11mila persone, ma piuttosto che si è riusciti ad aggiungere al registro persone che fino ad ora non erano state inserite. Cifre che dimostrano l’importanza di questa nuova azione. All'unanimità, con 107 voti i senatori hanno approvato la dichiarazione inviata dal presidente Andrés Manuel López Obrador, un'azione appunto che era stata elusa nei sei anni di Enrique Peña Nieto, riluttante a invocare aiuti stranieri per combattere i suoi grandi mali.

domenica 6 settembre 2020

USA. Giudice federale vieta la detenzione dei bambini migranti negli alberghi

La Repubblica
Un giudice federale ha emesso un ordine che impedisce al governo degli Stati Uniti di detenere i bambini migranti negli hotel, una pratica che è stata una parte fondamentale del nuovo sistema di controllo dell'immigrazione. 

Fonte CNN
Lo riferisce la Cnn. Il giudice Dolly M. Gee ha ingiunto al Dipartimento della sicurezza interna (Dhs) di interrompere l'immissione di minori negli alberghi e di trasferirli in strutture autorizzate entro il 15 settembre. 

Secondo il magistrato, le condizioni negli hotel "non sono adeguatamente sicure e non tengono sufficientemente conto della vulnerabilita' dei minori non accompagnati in detenzione".

L'ordine si applica ai minori non accompagnati e ai bambini detenuti con i familiari. Prevede eccezioni per i bambini che devono essere trattenuti in hotel per una o due notti durante il transito o prima del volo. 

Il giudice richiede inoltre al governo federale di consentire a osservatori indipendenti e avvocati che rappresentano i bambini immigrati detenuti di accedere in tutte le strutture in cui i minori sono detenuti in base alle nuove restrizioni di salute pubblica.

"Questa Corte... riconosce che la pandemia può richiedere modifiche temporanee e di emergenza al sistema di immigrazione per migliorare la sicurezza pubblica", ha detto Gee. "Ma questa non è una scusa per il Dhs per eludere le protezioni umanitarie fondamentali che l'accordo di Flores garantisce ai minori sotto la loro custodia, specialmente quando non ci sono prove convincenti che l'albergo sia più sicuro delle strutture autorizzate".

Gli avvocati del governo hanno sollecitato il giudice a ritardare l'esecuzione della sua ordinanza durante l'udienza di venerdì sostenendo che il trasferimento sicuro dei bambini in nuove strutture richiederebbe tempo e coordinamento. 

Un portavoce delle forze dell'ordine e dell'immigrazione ha detto venerdì alla CNN via e-mail che l'agenzia "sta valutando la decisione del tribunale ma non è in grado di commentare ulteriormente a causa del contenzioso in corso".

sabato 5 settembre 2020

Rapporto Unhcr. Metà dei bambini rifugiati di tutto il mondo non frequenta la scuola. E il Covid-19 rischia di peggiorare la situazione

Avvenire
Pubblicato il quinto report sull'educazione dell'Alto commissariato Onu. «Il coronavirus rappresenta una grave minaccia all'istruzione dei richiedenti asilo».


Se in Italia la ripresa delle scuole resta un nodo ancora da sciogliere, a milioni di bambini rifugiati nel mondo il diritto all'istruzione continua a essere negato e il Covid-19 rischia di peggiorare ulteriormente la situazione. A dirlo è l'Acnur/Unhcr che ha pubblicato il suo quinto rapporto dedicato all'istruzione, “Coming together for refugee education".

Secondo l'Agenzia delle Nazioni Unite, «se la comunità internazionale non intraprenderà azioni immediate e coraggiose per contrastare gli effetti catastrofici della pandemia, il potenziale di milioni di giovani rifugiati che vivono in alcune delle comunità più vulnerabili al mondo sarà ulteriormente minacciato». 
Anche perché già prima del Covid la probabilità che un bambino rifugiato non ricevesse un'istruzione era due volte più elevata rispetto a quella di un suo coetaneo in condizioni più avvantaggiate. Ma adesso molti potrebbero non avere più l'opportunità di riprendere gli studi a causa della chiusura delle scuole, della difficoltà di pagare le tasse d'iscrizione, le divise o i libri di testo, oltre che dell'impossibilità di accedere alle tecnologie necessarie o del bisogno di lavorare per sostenere le proprie famiglie.

«Metà dei bambini rifugiati di tutto il mondo non riceveva già un'istruzione - ha dichiarato l'Alto commissario, Filippo Grandi -. Dopo tutto quello che hanno patito, non possiamo provarli del futuro negando loro un'istruzione oggi».

I dati raccolti nel rapporto, relativi al 2019, si basano su informazioni provenienti da dodici Paesi che accolgono oltre la metà dei bambini rifugiati di tutto il mondo. 

Stando ai numeri, mentre la percentuale di iscrizioni complessive all'istruzione primaria è pari al 77%, solo il 31% dei giovani risulta iscritto a quella secondaria e per quanto riguarda la superiore si arriva al 3%. In realtà benché si tratti di dati non paragonabili a quelli delle medie globali, il 2009 ha fatto registrare un aumento del 2% dei rifugiati iscritti alle scuole secondarie. Ma il Covid-19, scriva ancora l'Unhcr, «rischia di azzerare anche questi piccoli progressi».

Per le bambine va ancora peggio. Le probabilità di accesso sono addirittura inferiori e il Malala Fund ha stimato che a causa del virus, la metà di tutte quelle rifugiate non farà ritorno in classe quando riapriranno le scuole, almeno per quanto riguarda il mese in corso: «Mi preoccupa specialmente l'impatto sulle bambine rifugiate - continua Grandi -. La comunità internazionale non può in alcun modo permettersi di fallire il compito di offrire loro le opportunità derivanti dall'istruzione».

C'è poi un'altra questione, perché le minacce non sono legate soltanto alla pandemia. Gli attacchi ai danni delle scuole «costituiscono una triste realtà in aumento - si legge ancora in una nota dell'Acnur - e nel Sahel le violenze hanno costretto alla chiusura oltre 2.500 istituti danneggiando i percorsi scolastici di 350mila studenti».

Matteo Marcelli