Nel più tragico solo in 9 su 120 si sono salvati. Distrutta anche un'intera famiglia con quattro figli. E la Libia è sempre più inaffidabile
Cinque stragi in una settimana. Almeno 200 morti lungo la rotta dalla Libia all’Europa. E nessuna nave di soccorso in mare, bloccate dai provvedimenti italiani che ostacolano gli interventi della flotta civile, e da un’Europa che promette solidarietà, ma continua a cooperare con le autorità di Tripoli, niente affatto estranee alla continua mattanza.
Dei cinque naufragi segnalati negli ultimi giorni, il più grave è avvenuto il 21 settembre e si è saputo solo oggi, sabato: 111 morti. «Solo 9 delle 120 persone sono vive, soccorse da un pescatore dopo giorni in mare. Con i sopravvissuti stiamo ricostruendo gli eventi. Serve assistenza medica urgente», scrive su Twitter Alarm Phone.
«Tra le vittime ci sono Oumar, Fatima e i loro 4 figli» aggiunge l’organizzazione che raccoglie le chiamate d’emergenza in tutto il Mediterraneo. Segnalazioni di altri naufragi sono arrivati anche da Cipro e dall’Algeria.
Nella notte tra venerdì e sabato «120 migranti riportati in Libia hanno riferito allo staff dell’Oim che 15 persone sono annegate quando il loro gommone ha iniziato a sgonfiarsi», conferma Safa Msehli, portavoce dell’agenzia Onu per le migrazioni.
Secondo l’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr-Acnur) al 23 settembre 8.247 persone sono state registrate come intercettate in mare dalla cosiddetta Guardia costiera libica.
La gran parte viene portata nei campi di prigionia ufficiali, dove poi molti vengono fatti sparire. Il 15 settembre, votando il rinnovo della missione Onu in Libia, il Consiglio di sicurezza ha espresso «grave preoccupazione per il deterioramento della situazione umanitaria» e per la situazione «affrontata da migranti, rifugiati e sfollati interni, inclusa la loro esposizione alla violenza sessuale e di genere».
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