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giovedì 26 novembre 2020

Iran - Pena di morte - Rischia di essere messo a morte Ahmadreza Djalali, il ricercatore di nazionalità iraniana e svedese che aveva lavorato in Italia

La Repubblica
Ahmadreza Djalali è in carcere in Iran da oltre tre anni, condannato a morte per spionaggio in un processo senza testimoni e senza prove, e ora rischia di essere giustiziato. Ieri sua moglie Vida Mehrannia, che vive in Europa con i loro due figli, ha ricevuto la telefonata del marito dal carcere di Evin, a nord di Teheran: le annunciava che l’avrebbero trasferito in isolamento e che la sentenza di morte potrebbe essere eseguita a breve, che quella avrebbe potuto essere la sua ultima telefonata.
 

Djalali è un ricercatore iraniano esperto di medicina dei disastri e assistenza umanitaria, ha lavorato anche all’università del Piemonte Orientale di Novara, ha doppia cittadinanza iraniana e svedese: nel 2016 fu arrestato in Iran dove era tornato per partecipare a una serie di seminari nelle università di Teheran e Shiraz.

Amnesty International parla di “accuse infondate” nei suoi confronti e di un processo senza garanzie di difesa. “Le autorità iraniane hanno fatto forti pressioni su Djalali affinché firmasse una dichiarazione in cui “confessava” di essere una spia per conto di un “governo ostile”. Quando ha rifiutato, è stato minacciato di essere accusato di reati più gravi”. 
Domani l’organizzazione ha indetto un presidio a Novara alle 18 per chiede il rilascio di Djalali.

Nei mesi scorsi la moglie Vida aveva chiesto aiuto anche alle autorità italiane attraverso Repubblica: “L’Italia faccia il possibile per far tornare a casa Ahmadreza, che è innocente, è ostaggio di uno scambio politico ed economico, non ha fatto nulla”. Il 18 dicembre scorso 134 premi Nobel scrissero un appello alla guida suprema Ali Khamenei per la liberazione di Djalali.
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Negli ultimi anni l’Iran ha arrestato diversi stranieri o persone con doppio passaporto - Teheran non riconosce ai cittadini iraniani la doppia nazionalità - spesso condannabili per spionaggio ma diverse organizzazioni per i diritti umani accusano il regime di usare questa tattica per ottenere concessioni nei negoziati paralleli con i governi.

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