Centinaia di persone avrebbero lasciato il Myanmar dal colpo di Stato del primo febbraio scorso per dirigersi in Thailandia, nell’area di confine tra i due Paesi controllata da milizie locali.
La notizia è stata diffusa dall’incaricato per gli affari esteri di uno tra i gruppi armati, Karen National Union (KNU), Padoh Saw Taw Nee, il 18 marzo.
L’uomo ha dichiarato a The Straits Times che nel territorio controllato dalla KNU vi sarebbero quasi 1.000 persone fuggite dal Myanmar. Tra essi, alcuni sarebbero leader degli scioperi avvenuti nel Paese, altri farebbero parte del movimento di disobbedienza civile, altri ancora sarebbero ex-impiegati statali, legislatori e membri delle forze dell’ordine e dell’esercito. Secondo il membro di KNU, in altre aree controllate da altri gruppi poi vi sarebbero ancora altri rifugiati.
Al confine tra Myanmar e Thailandia vi sono più di venti gruppi armati indigeni, alcuni dei quali hanno condannato il colpo di stato dell’Esercito. Da tale evento KNU ha affermato che i negoziati per un cessate il fuoco con il governo birmano sono stati interrotti.
Intanto, le autorità thailandesi hanno disposto aree in grado di accogliere fino a 43.000 rifugiati . L’Esercito thailandese ha incrementato i controlli al confine.
In Myanmar, intanto, dallo scorso 6 febbraio, in tutto il Paese, sono ancora in corso proteste contro la giunta militare al potere che sono spesso sfociate in violenza, con la polizia che ha sparato sui manifestanti.
Al confine tra Myanmar e Thailandia vi sono più di venti gruppi armati indigeni, alcuni dei quali hanno condannato il colpo di stato dell’Esercito. Da tale evento KNU ha affermato che i negoziati per un cessate il fuoco con il governo birmano sono stati interrotti.
Intanto, le autorità thailandesi hanno disposto aree in grado di accogliere fino a 43.000 rifugiati . L’Esercito thailandese ha incrementato i controlli al confine.
In Myanmar, intanto, dallo scorso 6 febbraio, in tutto il Paese, sono ancora in corso proteste contro la giunta militare al potere che sono spesso sfociate in violenza, con la polizia che ha sparato sui manifestanti.
Ad oggi, sarebbero state 217 le persone che hanno perso la vita in tale contesto, secondo dati rilasciati dall’organizzazione Assistance Association for Political Prisoners. Ciò nonostante i manifestanti stanno continuando a portare avanti il movimento. A detta della giunta militare al potere, le autorità starebbero evitando quanto possibile di reprimere con la forza quelle che definisce “rivolte” che danneggiano la sicurezza e la stabilità nazionali.
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