Chi sta dietro i terroristi di Ansar al-Sunna in un Paese che ha la terza riserva di gas naturale di tutta l'Africa?
Rifugiati del Nord del Mozambico - Foto OIM/Matteo Theubet |
Ho conosciuto il Mozambico negli armi Ottanta, dopo la lotta di liberazione dal colonialismo portoghese. Era appena indipendente (dal 1975), già alle prese con una guerra civile con la Renamo, movimento di guerriglia antimarxista, collegato al Sud Africa. Quello che mi colpì era una miseria diffusa e profonda.
Al grande mercato centrale di Maputo c'era poco altro che pesce secco. La guerra civile ha provocato un milione di morti e tanti sfollati. Si è conclusa con un negoziato tra il Governo e la Renamo nel 1992, a Roma, presso Sant'Egidio. Da allora è cominciata la storia di un Mozambico pluralista, con tanti problemi, che ha conosciuto però lo sviluppo.
Dal 2017, la fame è purtroppo tornata in Mozambico. Ben 670.000 mozambicani hanno lasciato il Nord del Paese sotto gli attacchi dei jihadisti di Ansar al-Sunna, nato da terroristi keniani e tanzaniani, che hanno reclutato giovani marginali e senza lavoro.
La regione, arretrata, ha subìto l'impatto della scoperta della più grande riserva di gas naturale, la terza in Africa, dopo Nigeria e Algeria. Con la presenza di grandi imprese, il clima sociale è molto cambiato. Villaggi sono stati spostati e un mondo, un po' remoto, è stato sconvolto. Ne ha approfittato il jihadismo che, in una proiezione verso Sud, dalla Somalia verso Kenya, Tanzania e Mozambico, segue quasi le tracce dell'antica espansione arabo-musulmana. L'islam del Nord Mozambico, tradizionale, è stato sconvolto.
Se la violenza inumana dei terroristi è attestata da tanti rifugiati (e giunge sino alla decapitazione dei bambini), c'è incertezza su chi ci sia dietro il nuovo movimento jihadista. Si comprendono le cause sociali dell`adesione di parecchi mozambicani: rappresenta l'alternativa alla miseria e allo spaesamento di una generazione dell'area più povera di un Paese povero. Avevamo già segnalato su Famiglia Cristiana come il Jihad globale stia divenendo un'alternativa per i giovani africani marginali in molti Paesi.
Lo Stato mozambicano è fragile: non è riuscito ad arginare l'avanzata terrorista, che si profila quasi come un nuovo Boko Haram, rapisce le persone e ha provocato 2500 morti. Inoltre il centro del Paese è stato sconvolto da vari cicloni. Nella città di Beira, in buona parte distrutta, i lavori per la ricostruzione stentano a avanzare e molti vivono sotto le tende.
Purtroppo è un modello di economia che non dà i suoi frutti. Gli interessi delle grandi imprese internazionali, che operano nelle concessioni mozambicane, non producono in tempi ragionevoli sviluppo nella giovane società.
Ci sono enormi problemi sociali e giovanili che si incrociano, aggravati dal Covid-19. C'è bisogno di una nuova riflessione sullo sviluppo e di un coinvolgimento della comunità internazionale, fuori dalle modalità di costante concorrenza che spesso caratterizza il suo agire.
D'altra parte è triste constatare come l'Italia, così attiva e determinante in Mozambico tra gli anni Ottanta e Novanta, sia poco interessata a un Paese decisivo per l'Africa australe e in cui l'Italia ha investito tanto in energie umane e risorse.
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