Due storie tragiche, Antonia Bernardini nel 1978, Elena Casetto nel 2019, lontane 47 anni l’una dall’altra, ma incredibilmente simili. In mezzo le storie di altre morti terribili, di altri abusi, ma anche la più grande riforma della psichiatria con la legge Basaglia che ha abolito i manicomi. Rainews24 parte da queste storie per cercare di fare il punto sulla contenzione, pratica controversa che nessuno considera terapeutica che divide il mondo psichiatrico tra chi la definizione necessaria quando il paziente può essere pericoloso e chi definisce una vera e propria tortura e ne invoca il superamento.
Quella di Antonia Bernardini è una storia del secolo scorso, quando ancora esistevano i manicomi. Antonia, romana, 40 anni, era internata nel manicomio criminale di Pozzuoli. C'era finita per un litigio banale, con quella formula paradossale di “proscioglimento per infermità mentale” che esclude il processo ma apre le porte dell'internamento, spesso senza alcuna scadenza. Dopo 43 giorni consecutivi legati al letto di contenzione, per protesta dà fuoco al materasso. Muore quattro giorni dopo, ma fa in tempo a dire al magistrato: «Ero sempre legata... L'ho fatto perché chiamavo, chiamavo e non mi davano l'acqua… per la disperazione». Quella morte suscita un dibattito che porta alla chiusura del manicomio di Pozzuoli. Un evento che non cambia il destino delle internate, ma dalla forte portata simbolica, ancora prima della legge 180.
Elena Casetto, invece, è una storia di questo secolo, anche se somiglia terribilmente a quella di Antonia. Milanese, brasiliana di origine, 19 anni. Era appena tornata da Bahia per vivere con sua madre nel bergamasco. Il 31 luglio 2019 la trovano su un ponte che minaccia di buttarsi. Viene ricoverata prima al reparto di psichiatria di Gavardo, nel bresciano, poi viene trasferita all'ospedale di Bergamo. Il 13 agosto 2019, Elena dà fuoco al lenzuolo del letto dove era appena stata legata: mani, piedi e spalle. Nessuno riesce a spegnere l'incendio che si sviluppa incontrollabile, nonostante la struttura fosse nuova, inaugurata pochi anni prima. I vigili del fuoco troveranno la terra, accanto al suo letto: è riuscito a liberare i polsi e una caviglia, ma per farlo si è spezzata un braccio.
Agli atti dell'inchiesta ci sono due perizie chieste dalla Procura di Bergamo: la prima “assolve” l'ospedale da tutte le responsabilità ed è redatta da uno psichiatra, già primario del reparto di psichiatria dello stesso ospedale; la seconda invece considera l'Azienda Sanitaria responsabile, il consulente scrive che «si ritiene che l'incendio deve essere ricondotto ad un'inadeguata valutazione del rischio incendio per il reparto di Psichiatria».
L'azienda ospedaliera, secondo il perito, non ha valutato i rischi, non ha individuato misure per la sicurezza, non ha informato e formato i lavoratori. Per la morte di Elena la Procura di Bergamo ha indagato per omicidio colposo i due addetti dell'antincendio di una ditta esterna all'ospedale Papa Giovanni XXIII, a giorni ci sarà l'udienza preliminare. Nessuna responsabilità è stata ipotizzata a carico dell'ospedale.
Già nel 1909 il Regio decreto 615 ammetteva la coercizione “degli infermi” soltanto in casi eccezionali. Ma centodieci anni dopo la tragica storia di Elena Casetto dimostra che è ancora emergenza. Lo sottolinea anche il Comitato Nazionale per la Bioetica nel 2015, quando «ribadisce la necessità del superamento della contenzione e condanna l'attuale applicazione estensiva della contenzione» che definisce una «violazione dei diritti fondamentali della persona».
PRATICA DIFFUSA
I giudici hanno condannato medici ed infermieri per sequestro di persona, i medici anche per falso ideologico. Un palese caso di abuso, purtroppo non un caso isolato.
Esistono reparti psichiatrici in cui si adotta una politica che esclude la contenzione. Un'intera regione, il Friuli, ha fatto del non legare un metodo di lavoro. Qui a dare risposte diverse è l'intero sistema dei servizi psichiatrici. Come anche centri di eccellenza: nell'Spdc di Ravenna, ad esempio, nessuno viene legato dal 2016. Ma nella stragrande maggioranza dei reparti psichiatrici è una pratica ammessa in casi eccezionali. Molti ospedali si sono dotati di linee guida per regolamentarne e limitarne l'uso. Ma gli abusi ci sono: si lega il paziente quando il personale è poco. O perché lo si vuole punire. Casi in cui la contenzione non viene registrata. E' la contenzione sommessa, che non deve lasciare traccia.
'Chi non ha non è': così Franco Basaglia, intervistato da Sergio Zavoli negli anni sessanta. Citava un proverbio calabrese, per sottolineare come il malato mentale non avesse diritti, non avesse voce. Maria Grazia Giannichedda, che lavorò al fianco di Basaglia, ha detto a Rai News: «È stata tagliata la chioma, il manicomio, ma non le radici, quell'idea alla base che il malato mentale abbia meno diritti degli altri».
«Applicazione estensiva» significa che invece di diminuire, la contenzione dai reparti psichiatrici è entrata anche nelle strutture per anziani e nei luoghi di cura per disabili. Un infermiere ci ha raccontato che si legano i pazienti anche nei reparti Covid, potrebbe togliersi l'ossigeno e non c'è personale sufficiente.[...]
I giudici hanno condannato medici ed infermieri per sequestro di persona, i medici anche per falso ideologico. Un palese caso di abuso, purtroppo non un caso isolato.
Esistono reparti psichiatrici in cui si adotta una politica che esclude la contenzione. Un'intera regione, il Friuli, ha fatto del non legare un metodo di lavoro. Qui a dare risposte diverse è l'intero sistema dei servizi psichiatrici. Come anche centri di eccellenza: nell'Spdc di Ravenna, ad esempio, nessuno viene legato dal 2016. Ma nella stragrande maggioranza dei reparti psichiatrici è una pratica ammessa in casi eccezionali. Molti ospedali si sono dotati di linee guida per regolamentarne e limitarne l'uso. Ma gli abusi ci sono: si lega il paziente quando il personale è poco. O perché lo si vuole punire. Casi in cui la contenzione non viene registrata. E' la contenzione sommessa, che non deve lasciare traccia.
'Chi non ha non è': così Franco Basaglia, intervistato da Sergio Zavoli negli anni sessanta. Citava un proverbio calabrese, per sottolineare come il malato mentale non avesse diritti, non avesse voce. Maria Grazia Giannichedda, che lavorò al fianco di Basaglia, ha detto a Rai News: «È stata tagliata la chioma, il manicomio, ma non le radici, quell'idea alla base che il malato mentale abbia meno diritti degli altri».
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