La morte del ragazzo nei cosiddetti “ospedaletti” di Torino, riapre il dibattito sui Cpr. Il 4 giugno manifestazione dei giuristi davanti la prefettura. Chiesto un incontro urgente con Lamorgese e Cartabia per documentare i più gravi episodi verificatisi negli ultimi mesi
Una serie di violazioni, sia dal punto di vista del diritto che da quello sanitario. Un trattamento sbagliato che avrebbe potuto evitare “una tragedia annunciata”.
Le associazioni di giuristi scenderanno in piazza, davanti alla prefettura di Torino il prossimo 4 giugno per chiedere giustizia sul caso Moussa Balde e riportare l’attenzione sulla situazione dei Cpr in Italia.
Dopo la morte del ragazzo di 23 anni, originario della Guinea, suicidatosi nel centro per i rimpatri di Torino si è riaperto il dibattito sulla legittimità al trattenimento dei migranti in queste strutture.Non solo, ma il caso di Balde è ancora tutto da chiarire. Dopo una violenta aggressione in strada da parte di tre italiani era stato condotto negli uffici di polizia di Ventimiglia, perché cittadino straniero irregolare, il 9 maggio scorso.
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Secondo le associazioni promotrici della manifestazione, tra cui Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) “la sua condizione di persona offesa è stata immediatamente dimenticata, a causa dell'irregolarità del suo soggiorno”.
A Balde, dunque, non sono state fornite informazioni come la facoltà di presentare denunce o querele, il diritto di chiedere di essere informato sullo stato del procedimento, la possibilità di avvalersi dell'assistenza linguistica.
“Gli è stato di fatto negato il diritto di partecipare al procedimento penale - spiegano -. Moussa Balde aveva anzi riferito di non avere neppure compreso che l'aggressione avesse generato delle indagini, che i suoi aggressori fossero stati identificati, né tantomeno sapeva che c'era un video che aveva ripreso quella aggressione”. Secondo i giuristi, dunque, questo conferma per l'ennesima volta che per lo Stato italiano “la persecuzione degli stranieri privi di un permesso di soggiorno è considerata una priorità assoluta, da esercitare a qualunque costo, anche a scapito di diritti fondamentali”.
L'altra grande questione che la tragedia di Moussa Balde solleva riguarda ciò che accade dentro i Cpr italiani, e dentro il Cpr di Torino in particolare. Secondo quanto ricostruito da Asgi Moussa Balde è stato rinchiuso senza alcuna valutazione preliminare sulla sua idoneità psichica al trattenimento e ciò nonostante le presumibili conseguenze di un'aggressione tanto violenta.
L'altra grande questione che la tragedia di Moussa Balde solleva riguarda ciò che accade dentro i Cpr italiani, e dentro il Cpr di Torino in particolare. Secondo quanto ricostruito da Asgi Moussa Balde è stato rinchiuso senza alcuna valutazione preliminare sulla sua idoneità psichica al trattenimento e ciò nonostante le presumibili conseguenze di un'aggressione tanto violenta.
Appena entrato al Cpr, è stato privato del telefono cellulare ed è stato collocato nei cosiddetti “ospedaletti”, vere e proprie celle di isolamento non previste dalla normativa, separate dalle altre aree, lontane dagli uffici e dall'infermeria, dove è impossibile effettuare un controllo o un’osservazione di chi vi è rinchiuso.
Luoghi in cui una patologia psichiatrica o una semplice depressione sono destinati ad aggravarsi e dove è purtroppo molto facile, in solitudine, compiere gesti anticonservativi. “Lo stesso Cpr, le medesime camere di isolamento dove, nel luglio del 2019, era morta un’altra persona, Faisal Hussein, affetto probabilmente da problemi psichici e abbandonato per cinque mesi nella segregazione del centro di Torino - spiega l’associazione -
La vicenda di Moussa Balde ci deve ricordare quali sono le effettive priorità, che i diritti fondamentali non possono essere sacrificati e che non possono esistere luoghi di detenzione privi di regole, dove la vita delle persone è consegnata all'arbitrio”.Secondo i giuristi, i Cpr oggi sono strutture in cui le persone trattenute vengono private della loro umanità, parcheggiate e abbandonate, in condizioni peggiori rispetto a quelle esistenti in carcere, proprio per la carenza di regole e di garanzie. “Anche i pochi diritti riconosciuti vengono sistematicamente calpestati da quella stessa pubblica amministrazione che le regole è chiamata a far osservare”.
Tra le violazioni più diffuse il fatto che la verifica dell'idoneità sanitaria al trattenimento venga fatta da medici interni del Cpr, e non, come previsto dall'articolo 3 del Regolamento Cie emanato dal Ministero dell'Interno il 2.10.2014, da medici esterni della Asl o delle strutture ospedaliere, prima dell'ingresso. Inoltre, il sostegno psichiatrico non è stato garantito dal marzo 2020 al febbraio 2021 e rimane comunque insufficiente e discontinuo.
Vengono trattenute persone presunte minorenni, in aperto contrasto con la normativa vigente. Sebbene la legge non consenta l’isolamento dei trattenuti, poi, la misura viene abitualmente e arbitrariamente utilizzata, senza obbligo di motivazione né possibilità di impugnazione o riesame. Durante l’isolamento, “i trattenuti vengono ristretti in celle pollaio, che ricevono luce solare per poche ore al giorno solo nel cortile (con visuale oltretutto limitata da una tettoia), senza diritto di uscire né di usare un telefono - spiegano i giuristi -. Vengono utilizzati luoghi di trattenimento non ufficiali (le celle di sicurezza nel seminterrato), nemmeno dichiarati al Garante nazionale e scoperti casualmente da quest’ultimo in occasione della visita del 2.3.2018”.
Nel documento firmato dagli esperti di diritto dell’immigrazione si ricorda che, in spregio al diritto alla libertà di comunicazione con l'esterno sancita dall'articolo 14, comma 2 del Testo Unico sull'Immigrazione e dall'articolo 20, comma 3, del Regolamento di attuazione, “i trattenuti vengono privati del telefono cellulare, così perdendo anche l'accesso ad internet, principale strumento di comunicazione e di informazione; le telefonate possono essere effettuate solo verso l'esterno, a pagamento e con linea fissa, con la conseguenza che, in considerazione dei costi, è estremamente difficile mantenere contatti con i parenti all'estero; i trattenuti non possono ricevere, privati del proprio apparecchio cellulare, chiamate dall'esterno, avendo sempre l'amministrazione rifiutato di fornire le utenze dei telefoni installati nel centro”.
Nel documento firmato dagli esperti di diritto dell’immigrazione si ricorda che, in spregio al diritto alla libertà di comunicazione con l'esterno sancita dall'articolo 14, comma 2 del Testo Unico sull'Immigrazione e dall'articolo 20, comma 3, del Regolamento di attuazione, “i trattenuti vengono privati del telefono cellulare, così perdendo anche l'accesso ad internet, principale strumento di comunicazione e di informazione; le telefonate possono essere effettuate solo verso l'esterno, a pagamento e con linea fissa, con la conseguenza che, in considerazione dei costi, è estremamente difficile mantenere contatti con i parenti all'estero; i trattenuti non possono ricevere, privati del proprio apparecchio cellulare, chiamate dall'esterno, avendo sempre l'amministrazione rifiutato di fornire le utenze dei telefoni installati nel centro”.
I colloqui con i familiari e i conoscenti sono sospesi da oltre un anno e non è stato attivato alcun sistema di colloqui in videoconferenza, pur a fronte di trattenimenti che possono protrarsi per diversi mesi; i trattenuti vengono costretti in moduli abitativi sovraffollati, con servizi igienici non separati dai luoghi di pernottamento e privi di porte; infine non sono presenti mediatori culturali di lingue e Paesi rappresentati nel Cpr.A ciò si aggiunge il tema della competenza a decidere in materia di libertà personale ai giudici di pace, che tale competenza non hanno in alcun altro ambito. Nel report si ricorda in merito il risultato delle ricerche dell’Osservatorio sulla giurisprudenza del giudice di pace in materia di immigrazione (Lexilium), che ha rilevato che il tasso di convalida dei decreti di trattenimento da parte dell’ufficio dei giudici di pace di Torino, nel 2015, è stato del 98% e quello di proroga del 97%, all’esito di udienze che, nella maggioranza dei casi, non hanno superato i 5 minuti di durata.
Il documento si chiude con una serie di richieste: innanzitutto si chiede che siano immediatamente chiuse le strutture illegali di detenzione, come i cosiddetti Ospedaletti e le camere di sicurezza nei sotterranei; che vengano ripristinate le condizioni di legalità del trattenimento e, in particolare, il diritto di comunicazione anche telefonica con il proprio telefono cellulare e la ripresa dei colloqui con i familiari; che particolare attenzione venga posta alla salute dei trattenuti, anche attraverso il previo esame da parte di medici dell'ASL sulla idoneità al trattenimento, e che venga garantita la presenza di psichiatri e psicologi, sia al momento dell'ingresso, sia nel corso del trattenimento; in caso di incapacità a rispettare gli standard minimi sopra illustrati, venga disposta la chiusura della struttura.
Si ribadisce, infine, la necessità di rispettare i principi del processo penale e i diritti delle persone offese, siano essi cittadini italiani o stranieri, indipendentemente dal possesso di un permesso di soggiorno.
Le associazioni chiedono un incontro urgente con il Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, e con il Ministro della Giustizia, Marta Cartabia, per documentare i più gravi episodi verificatisi negli ultimi mesi all’interno della struttura, culminati nel suicidio di Moussa Balde.
Oltre ad Asgi la manifestazione e il documento sono promossi da Legal tema Italia, Giuristi democratici, Osservatorio carcere Piemonte e Valle d’Aosta Antigone, ADIF Associazione Diritti e Frontiere A.P.I. onlus e StraLi.
Eleonora Camilli
Fonte: Redattore Sociale
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