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giovedì 4 novembre 2021

Etiopia - Degenera la guerra civile - Forze tigrigne verso Addis Abeba - In Tigray da entrambi i fronti: torture sui prigionieri, strupri di gruppo e arresti su base etnica.

Il Sole 24 Ore
Le forze tigrine si stanno avvicinando alla capitale, il premier Abiy chiede di fare muro. Come si è arrivati alla crisi e perché è pericolosa per l’intera regione.


Si fa sempre più incandescente la situazione in Etiopia, il paese del Corno d’Africa nel vivo di una guerra civile fra i ribelli della regione settentrionale del Tigray e il governo di Addis Abeba. 

Il primo ministro Abiy Ahmed, Nobel per la Pace nel 2019, ha dichiarato uno stato d’emergenza di sei mesi in risposta alla avanzata delle truppe tigrine verso la capitale, facendo appello ai cittadini perché «difendano» la città dall’ingresso delle truppe separatiste. 

È l’escalation più brusca di un conflitto esploso nell’autunno 2020, quando Abiy ha dato il via all’offensiva contro la regione per replicare agli attacchi delle forze tigrine alla base militare di Sero.

Nei piani di Abiy, fresco di ri-elezione dopo il voto di luglio 2021, le tensioni si sarebbero dovute risolvere nell’arco di qualche settimana. Il blitz è sfociato in una guerra intestina che si trascina da oltre un anno e rischia, ora, di far piombare definitivamente nel caos la capitale del secondo paese più popoloso dell’Africa (115 milioni di abitanti), sede dell’Unione africana e snodo economico e commerciale di prima importanza per il Continente. 

Un report pubblicato il 3 novembre dalle Nazioni unite ha denunciato le «estreme brutalità» commesse da entrambi le parti in conflitto, senza sbilanciarsi sulle maggiori responsabilità. Gli abusi perpetrati includono torture sui prigionieri, strupri di gruppo e arresti su base etnica.

Come si è arrivati a questa crisi?
L’avanzata tigrina verso Addis Abeba è l’ultimo capitolo di una guerra che ha fatto riemergere tutte le tensioni interetniche dell’Etiopia, incrinando le ambizioni di unità nazionale incarnate dallo stessi Abiy. 
Il premier, salito al potere nel 2018, ha dissolto la coalizione di governo fra i principali gruppi etnici che aveva governato per tre decenni il paese: Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front, un blocco politico che vedeva fra le sue forze di maggior peso proprio il partito tigrino (Tigray People’s Liberation Front, Tplf). La scelta di Abiy di sciogliere il partito e dare vita a una formazione che superasse le logiche di divisione etnica non ha incontrato i favori del Tpfl, espressione di una regione che incide sul 6% della popolazione etiope (circa 7 milioni di persone nel 2020) ma gode di un’influenza notevole negli equilibri nazionali.

Le tensioni fra la capitale e i ribelli del nord erano già fermentate di fronte alla scelta dei secondi di indire a settembre 2020 delle elezioni per il consiglio di Stato tigrino, uno strappo ovviamente sgradito ad Abiy e al potere centrale di Addis Abeba. La scintilla della guerra oggi in corso sono stati gli attacchi alle basi militari etiopi nell’ottobre 2020, l’episodio che ha spinto (ufficialmente) Abiy a reagire con l’invio delle truppe a nord. L’operazione militare ha coinvolto anche contingenti in arrivo dall’Eritrea, il paese confinante ed ex avversaria della stessa Etiopia, oltre a truppe della regione Ahamara.

Il blitz previsto da Abiy è degenerato nella guerra in corso. A giugno 2021, a otto mesi dall’inizio delle ostilità, le forze tigrine hanno ripreso «al 100%» il controllo della capitale Macallè. Nello stesso mese il governo di Addis Abeba ha isolato completamente la regione, bloccandone l’accesso a beni commerciali e aiuti umanitari, producendo quello che il report delle Nazioni unite classifica come «un severo impatto socio-economico sulla regione». 

Secondo dati risalenti a ottobre, almeno 500mila persone sono ridotte alla fame, mentre la stessa Onu ha dovuto interrompere il trasporto di beni umanitari a Macallè.

Alberto Magnani

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