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venerdì 31 dicembre 2021

Migranti nel 2021: ignorate e dimenticate le vittime in mare e gli attacchi al diritto d’asilo in diversi paesi europei.

 Redattore Sociale

Complice la pandemia da Covid19 che ha monopolizzato il dibattito pubblico e politico le notizie su migranti e richiedenti asilo sono relegate ai margini. Ma nel Mediterraneo si continua a morire (due i naufragi a Natale) e in tutta l’Ue si stanno rimettendo in discussione alcuni principi che regolano la protezione internazionale


Makbyel aveva appena 17 giorni quando è stato salvato in mare, a fine dicembre, dalla Ocean Viking, la nave umanitaria di Sos Méditerranée. Appena nato, metà della sua breve vita l’ha passata su un barchino in mare con altre 113 persone in attesa di un soccorso. Per questo, una volta al sicuro sul ponte della nave, la madre ha deciso di dargli come secondo nome “Sos”. Makbyel Sos e gli altri naufraghi hanno saputo che avrebbero sbarcato in un porto sicuro, a Trapani, la notte di Natale. Nelle stesse ore nel Mar Egeo si consumavano due terribili naufragi: il bilancio provvisorio è di 27 vittime e 25 dispersi. Scomparsi in fondo al mare e nel silenzio generale nell’anno in cui l’immigrazione non è più il tema caldo, al centro del dibattito pubblico e politico. Così neanche le vittime del mare hanno dignità di notizia. Ma i numeri sono tutt’altro che irrisori e parlano di almeno 1600 morti nel 2021, sulla rotta più pericolosa al mondo, quella del Mediterraneo.

Complice la pandemia da coronavirus che ha monopolizzato il mondo dell’ informazione, secondo l’ultimo rapporto dell’associazione Carta di Roma “Notizie ai margini”, nel 2021 sono 660 gli articoli in prima pagina dedicati al tema, il 21 per cento in meno rispetto al 2020, anno in cui già si registrava già una flessione dell’attenzione nell’agenda dei media. 

Il mese con maggiori notizie dedicate è stato agosto con la presa del potere da parte dei talebani in Afghanistan e la ripresa degli sbarchi verso l’Italia, che a fine 2021 si attestano a quota 64mila. “Le notizie che in questi anni hanno catalizzato l’attenzione, ispirato campagne elettorali, condizionato le politiche europee, nutrito l‘odio di molti, portato la paura nelle nostre case, nel 2021 sono rimaste prevalentemente lì, in quello spazio un po’ indefinito a due passi dall’indifferenza. Eppure quelle notizie ci sarebbero ancora ma invece restano ai margini e suona davvero strano - sottolinea Valerio Cataldi, presidente di Carta di Roma.

In questo contesto di marginalità sono passati sotto silenzio anche alcuni attacchi al diritto d’asilo all’interno degli Stati europei per gestire i flussi alle frontiere. Il caso più raccontato mediaticamente è stato quello della crisi diplomatica al confine tra Polonia e Bielorussia. Il governo Lukashenko, dopo aver fatto arrivare in aereo migliaia di profughi (per lo più curdi e afgani) li ha spinti verso il confine polacco. 

Per settimane i due stati hanno dato vita a un vero e proprio braccio di ferro sulla pelle delle persone. Intanto ai profughi era impedito di chiedere protezione nei paesi europei. La commissione Ue per risolvere la situazione ha elaborato una proposta straordinaria di sei mesi che prevede la sospensione di alcune regole su asilo per i tre paesi di confine: Polonia, Lettonia e Lituania. La proposta prevede una semplificazione dei rimpatri e un limite di tempo più lungo per registrare le domande di asilo (da dieci giorni a 4 settimane). Non solo, ma la proposta apre anche alla possibilità di trattenere temporaneamente i richiedenti asilo. Una deroga ai principi che regolano il diritto d’asilo che è stata ampiamente criticata dai giuristi italiani e internazionali. Ma non è l’unica violazione.

Secondo il report “Human dignity lost at the EU’s borders”, elaborato dal Danish refugees Council e alcune agenzie partner (comprese in Italia Asgi e Diaconia Valdese) per tutto il 2021 le regole internazionali sulla protezione sono state sistematicamente violate in diverse aree dell’Ue. In particolare, da gennaio 2021, le organizzazioni hanno incontrato 11.901 persone che hanno denunciato respingimenti alle frontiere interne e esterne dell’Unione Europea. Il 32% dei respingimenti riguarda persone provenienti dall’Afghanistan, molte delle quali hanno visto negato il diritto di chiedere asilo (oltre il 60%). Le temperature invernali hanno contribuito al deterioramento delle condizioni umanitarie : oltre a veder negato il diritto d’asilo, le persone non hanno accesso a un riparo per la notte, vestiti caldi, cibo a sufficienza.

Tra i principi rimessi in discussione nel corso del 2021 anche quelli previsti dal trattato di Schengen. Alcuni paesi del nord Europa (tra cui Francia e Germania) hanno chiesto di poter reintrodurre i controlli alle frontiere interne dell’Unione europea per contrastare i cosiddetti “movimenti secondari” (gli spostamenti dei migranti da uno stato all’altro dell’Unione). La Commissione Ue, anche in questo caso ha approvato una proposta che lo prevede in alcuni casi eccezionali. Il Paese membro dovrà "giustificare la proporzionalità e necessità della sua azione tenendo in considerazione l'impatto sulla libertà di circolazione" delle persone. 

Intanto guardando all’andamento della mobilità internazionale i numeri dicono che seppure siano in aumento le persone in fuga nel mondo, in Europa diminuiscono sia gli arrivi irregolari (-12 per cento) che i richiedenti asilo (crollati di ben un terzo). 

Il dato è contenuto nel Rapporto asilo 2021 della Fondazione Migrantes. “La pandemia di Covid-19 ha reso ancora più gravoso qualsiasi motivo, qualsiasi spinta a lasciare la propria casa, la propria terra. Dai conflitti alle persecuzioni, alla fame, all’accesso alle cure mediche fino alla possibilità di frequentare una scuola, il Covid-19 ha inasprito il divario fra una parte di mondo che vive in pace, si sta curando, tutelando e sopravvivendo e un’altra che soccombe, schiacciata da una disparità crudele - si legge nel testo -. Ma almeno in tutto il 2020, l’Italia e l’Europa hanno rappresentato un’eccezione in controtendenza rispetto alla situazione globale: mentre nel mondo il numero delle persone in fuga continuava ad aumentare, fino a una stima di 82,4 milioni, nel nostro continente si sono registrati meno arrivi “irregolari” di rifugiati e migranti e meno richiedenti asilo”. 

In particolare, in Italia (dati Istat) a inizio 2021, con poco più di 5 milioni di residenti, la popolazione straniera dopo vent'anni di crescita ininterrotta si è ridimensionata e non riesce più a compensare “l’inesorabile inverno demografico italiano” come lo definisce il Rapporto italiani nel mondo 2021 della Fondazione Migrantes. 

Ormai il saldo tra entrate e uscite dal nostro paese è negativo: sono più i cittadini italiani che decidono di andare all’estero a vivere e lavorare che i migranti che arrivano nel nostro paese per stabilirsi. “L’Italia - spiega Fondazione Migrantes- è oggi uno Stato in cui la popolazione autoctona tramonta inesorabilmente e la popolazione immigrata, complice la crisi economica, la pandemia, i divari territoriali e l’impossibilità di entrare legalmente, non cresce più”. Tuttavia c’è un’Italia che cresce ed è “quella che risiede strutturalmente all’estero”. 

Nell’ultimo anno l’aumento della popolazione iscritta all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (Aire) è stato del 3% (il 6,9% dal 2019, il 13,6% negli ultimi cinque anni e ben l’82% dal 2006, anno della prima edizione del rapporto).

Eleonora Camilli

martedì 28 dicembre 2021

Il Senato del Kazakistan approva il disegno di legge per l'abolizione della pena di morte, un ulteriore passo verso la completa eliminazione della pena capitale nel paese

Blog Diritti Umani - Human Rights

Il parlamento del Kazakistan ha approvato un disegno di legge che abolirebbe la pena di morte, una misura che, se firmata dal presidente del Paese, segnerebbe un significativo cambiamento di politica per il più grande Paese dell'Asia centrale.

Il Senato del Kazakistan

Il disegno di legge, approvato dal Senato, la camera alta del suo parlamento bicamerale, escluderà completamente la pena di morte dal codice penale.

"La completa abolizione della pena di morte nella Repubblica del Kazakistan contribuirà all'armonizzazione della legislazione nazionale rispetto agli obblighi giuridici internazionali e alla fornitura di diritti umani e garanzie del più alto valore costituzionale - il diritto alla vita", si legge nel documento adottato dal Giovedì il Senato in sessione plenaria.

L'approvazione del disegno di legge da parte del Senato è arrivata quasi un anno dopo che il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha firmato un decreto che ratifica il secondo protocollo opzionale delle Nazioni Unite al Patto internazionale sui diritti civili e politici.Questo documento impegna i firmatari ad abolire la pena capitale. La ratifica del Secondo Protocollo Opzionale nel gennaio 2021 è in linea con gli sforzi del Paese per umanizzare la legislazione penale. Oltre al Kazakistan, altre 88 nazioni sono membri dell'accordo.

La pena di morte è stata oggetto di moratoria in Kazakistan dal 2003. L'ergastolo è stato introdotto in Kazakistan nel 2004 come punizione alternativa. 

Russia, Bielorussia e Tagikistan sono ora gli unici tre paesi in Europa e in Asia centrale che non hanno firmato o ratificato il Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici. Russia e Tagikistan continuano a osservare moratorie sulle esecuzioni.

ES

giovedì 23 dicembre 2021

Archiviate definitivamente le accuse a Carola Rackete. "Ha adempiuto al dovere del salvataggio". Minate le basi del "Decreto Sicurezza" di Salvini

Huffington Post
“Carola Rackete ha agito nell’adempimento del dovere di salvataggio previsto dal diritto nazionale e internazionale del mare”. Con queste motivazioni il gip del tribunale di Agrigento, Micaela Raimondo, ha archiviato l’inchiesta a carico della comandante di Sea Watch3 che, ad aprile, era stata già definitivamente prosciolta dall’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e violenza a nave da guerra.


Accuse scaturite dal presunto speronamento della motovedetta della Guardia di finanza il 29 giugno del 2019, giorno dell’arresto. Il nuovo procedimento, adesso archiviato su richiesta del procuratore aggiunto Salvatore Vella e del pm Cecilia Baravelli, riguardava un episodio di tre giorni prima quando la trentatreenne tedesca, difesa dagli avvocati Leonardo Marino e Alessandro Gamberini, decise di entrare senza autorizzazione con la nave, che stazionava davanti Lampedusa ma in acque internazionali, nelle acque territoriali italiane. All’accusa di rifiuto di obbedienza a nave da guerra si era aggiunta quella di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per avere fatto entrare sul territorio italiano 53 immigrati.

“Ha agito - scrive il gip - nell’adempimento del dovere perché non si poteva considerare luogo sicuro il porto di Tripoli”. Il giudice cita un rapporto dell’Alto commissario per le Nazioni unite nel quale si sottolinea “che migliaia di richiedenti asilo, rifugiati e migranti in Libia versano in condizione di detenzione arbitraria e sono sottoposti a torture”. Quanto all’averli condotti in Italia, nonostante il divieto, il gip aggiunge: “La condotta risulta scriminata dalla causa di giustificazione”.

“Non può essere considerata come luogo sicuro una nave in mare che oltre a essere in balia degli eventi meteorologici avversi non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse”, si legge nel decreto del giudice, che riporta quando già statuito dalla Corte di Cassazione nel confermare l’ordinanza di non convalida dell’arresto di Rackete emesso dallo stesso ufficio del Gip di Agrigento. Nel 2020 la Cassazione, infatti, aveva sancito l’illegittimità dell’arresto di Carola Rackete. Lo scorso maggio un primo provvedimento di archiviazione fece, invece, cadere le accuse di resistenza a pubblico ufficiale e violenza a nave da guerra contro l’ex comandante. Di fatto oggi si chiudono tutte le indagini penali nei confronti dei membri della Sea-Watch.

Lo sbarco degli oltre 50 naufraghi a bordo della nave, nel giugno del 2019, a Lampedusa, dunque, “non era pericoloso”. “Rilevato che il provvedimento interministeriale adottato il 15 giugno 2019″, cioè il decreto di sicurezza a firma di Matteo Salvini, “nel vietare l’ingresso, il transito o la sosta dell’imbarcazione nel mare territoriale italiano - scrive la gip - non faceva riferimento a specifiche situazioni di ordine e sicurezza pubblica che avrebbero potuto fare ritenere pericoloso lo sbarco in Italia dei naufraghi”, Dunque, per il Tribunale “non sussistono elementi sufficienti per ritenere che il passaggio della imbarcazione possa definirsi ‘non inoffensivo’”.

“Quest’ennesima archiviazione abbatte il pretestuoso muro legislativo eretto da Salvini e, nelle sue motivazioni, conferma quanto già stabilito dalla Corte di Cassazione: soccorrere chi si trova in pericolo in mare e condurlo in un luogo sicuro è un dovere sancito dal diritto internazionale”. Così Sea Watch commenta l’archiviazione dell’indagine.

martedì 21 dicembre 2021

Giappone - Eseguite 3 condanne a morte, il boia era fermo dal 2019. Le esecuzioni sono le prime sotto il primo ministro Fumio Kishida

Blog Diritti Umani - Human Rights 

Il Giappone ha impiccato tre prigionieri martedì, sono le sue prime esecuzioni negli ultimi due anni.

La camera ella morte dove vengono impiccati e condannati in Giappone

Il governo che ha affermato che era necessario mantenere la pena capitale di fronte ai continui "crimini atroci".

Il Giappone è uno dei pochi paesi sviluppati a mantenere la pena di morte e il sostegno pubblico alla pena capitale rimane alto nonostante le critiche internazionali, specialmente da parte di gruppi per i diritti umani.

Più di 100 persone sono attualmente nel braccio della morte, la maggior parte per casi di omicidio plurimi. L'esecuzioni avviene per impiccagione, di solito molto tempo dopo la sentenza.

Le persone messe a morte son: Yasutaka Fujishiro, 65 anni,  Tomoaki Takanezawa, 54 anni e Mitsunori Onogawa, 44 anni.

Le esecuzioni sono state le prime sotto il primo ministro Fumio Kishida, entrato in carica a ottobre.

ES

sabato 18 dicembre 2021

Congo: quell’umanità miserabile nel fango, per la guerra del cobalto.

Corriere della Sera
Il Paese, vasto dieci volte l’Italia, possiede il prezioso minerale (batterie elettriche) ma è una delle nazioni più povere del mondo: dove finisce questa ricchezza? In Cina
Sfruttamento del lavoro minorile nelle miniere di Cobalto in Congo

Un’ordinata schiera di camion gialli affacciati sulla voragine di una miniera di cobalto: l’immagine sembra avere poco a che fare con il Congo brulicante e sgarrupato che ci rimane più impresso nella memoria, quello che colpisce i lettori e (non sempre) i photoeditor: facce e storie diragazzini che scavano cunicoli con le mani nella terra rossastra, umanità seminuda con gli occhi spalancati che si spacca la schiena dall’alba al tramonto per rubare al sottosuolo briciole di preziosi metalli africani e piazzarle nelle tasche di feroci caporali e intermediari sanguisughe. Certo, ci sono anche loro (anzi sono la maggioranza) nel ritratto collettivo dei minatori della Repubblica (sedicente) Democratica del Congo, nazione disastrata e ricchissima di materie prime (vasta quasi dieci volte l’Italia) da cui si estrae il 60-70% di un minerale oggi molto molto ricercato: il cobalto.
 

Il secondo Paese più povero del mondo
I minatori cosiddetti “artigianali”, che scavano ai margini (o di straforo all’interno dei recinti) delle grandi miniere, rappresentano numericamente il grosso della categoria. Eppure quei camion in bella fila sul ciglio dello scavo rappresentano la ricchezza vera e principale, quella che potrebbe contribuire al progresso dei 90 milioni di abitanti del secondo Paese più povero del mondo, e che invece continua a finire altrove. Sulle 100 mila tonnellate di cobalto estratte nell’ultimo anno dalle viscere del Congo, 93 mila (secondo i dati di Benchmark Mineral Intelligence ) provengono dalle miniere che operano su grande scala. Macchinari di precisione, camion per il trasporto, padroni in cravatta all’estero. Un mercato in espansione: la Banca Mondiale stima che la domanda di cobalto crescerà del 585%da qui al 2050. Il motivo principale di questa fame di “oro blu” (che già gli antichi egizi usavano per colorare manufatti) sta nel settore dell’automotive. Il resistentissimo cobalto è componente essenziale per i catodi delle batterie al litio che fanno muovere i veicoli elettrici (EV), la cui produzione (ibridi esclusi) dovrebbe balzare dai 3,3 milioni di unità vendute nel mondo nel 2021 ai 66 milioni del 2040.

Come il petrolio
Per il Congo il cobalto è sulla carta come il petrolio per l’Arabia Saudita. A estrarre la fetta maggiore del tesoro blu nazionale sono marchi esteri, dall’anglo-svizzera Glencore alle varie imprese che fanno capo a China Molybdenum (CMOC), gigante (naturalmente) statale con quartier generale a Pechino. Come lavorano queste aziende? Come trattano i lavoratori e le comunità locali? Un mese fa, mentre nell’affollatissima Glasgow il mondo cercava una via per disinnescare la mina del cambiamento climatico, alla chetichella è uscito un dettagliato rapporto di 87 pagine redatto dall’associazione britannica Raid (Rights and Accountability in Development), che in cinque miniere industriali del Congo ha condotto un’indagine durata 28 mesi con oltre 130 interviste sul campo. Il progetto è stato realizzato con la collaborazione del Centre d’Aide Juridico-Judiciaire , un centro congolese specializzato in diritti del lavoro. Il risultato dell’inchiesta è una fotografia da abbinare a quella dei camion gialli sul bordo della miniera: sfruttamento, maltrattamenti, paghe avare, razzismo.

I nuovi colonizzatori
«Da quando sono arrivati i cinesi» ha raccontato un lavoratore «stiamo peggio di prima». Calci, insulti, botte: «Sono i nuovi colonizzatori». Anneke Van Woudenberg, direttrice esecutiva di Raid , ha allargato il tiro: «L’industria mineraria sostiene di operare in maniera pulita e sostenibile senza abusi dei diritti umani. Ma questa lettura non corrisponde alla realtà. La transizione verde non deve avvenire grazie allo sfruttamento dei minatori congolesi». Pierre mostra al fotografo di Raid due piccoli paninetti: sono l’unica razione di cibo quotidiano fornita ai lavoratori alla Tenke Fungurume Mine , all’80% di proprietà della cinese CMOC. Lo stipendio base di Pierre è di 3,5 euro al giorno. Se si ammala per più di due giorni, niente paga. «E devi stare zitto altrimenti sei licenziato. Il rapporto di lavoro è quello tra schiavi e padroni», ha raccontato a Pete Pattisson del quotidiano The Guardian.

Telefonini insanguinati
Il coltan dei nostri telefonini viene (anche) dal Kivu insanguinato da mille conflitti. Il regno del cobalto è nel Sud del Congo, lontano dalla zona dell’eterna guerra nel Nord-Est del Paese con epicentro Goma (dove il 22 febbraio di quest’anno è stato assassinato il nostro ambasciatore Luca Attanasio). Kolwezi è la sua polverosa capitale. La grande città più vicina è Lumumbashi, che porta il nome del grande premier riformatore Patrice Lubumba (fatto fuori nel 1961 da mercenari belgi per conto dell’ex amico e futuro dittatore Mobutu con il beneplacito dell’Occidente). Cosa direbbe Lumumba visitando le miniere a cielo aperto di Kolvezi? Guarderebbe ai camion in bella fila o ascolterebbe le parole di Pierre accettando uno dei suoi due panini quotidiani? Cosa direbbe ai rappresentanti delle grandi case automobilistiche quando sostengono che la loro filiera del cobalto è sostanzialmente pulita? Il cobalto estratto nella miniera dove lavora Pierre secondo il Guardian termina alla fin della filiera nelle batterie al litio che vanno a caricare i mezzi dei principali produttori di auto elettriche (comprese Tesla, VW, Volvo, Renault e Mercedes-Benz).

Le ditte intermediarie
Vero che negli ultimi tempi da parte di queste aziende si è registrato uno sforzo per migliorare la situazione (e togliere le mani dei bambini dall’attività estrattiva). Ma il nodo più problematico (o se volete la foglia di fico) sta nel fatto che almeno il 57% dei lavoratori in questione (secondo il rapporto di Raid) viene assunto da ditte intermediarie, subcontractor. Da qui la linea di difesa dei Big: sono loro i responsabili, cosa c’entriamo noi se le condizioni di lavoro per estrarre il nostro “cobalto certificato” sono inaccettabili? E pensare che Pierre e i suoi colleghi di lavoro la certezza di un reddito ce l’hanno comunque assicurata. I minatori artigianali lavorano in un Far West dove possono guadagnare anche di più oppure morire nel crollo di una galleria. E sono ancora la grande maggioranza. Nelle sue due miniere, il gigante Glencore ha in tutto 15 mila dipendenti. Gli artigianali, secondo una stima di un inviato dell’ Economist a Kolwezi, potrebbero essere 200 mila. Gente come Claude Mwansa, che al mese riesce a guadagnare l’equivalente di 50 dollari (in Congo il 70% degli abitanti vive con 2 dollari) scavando abusivamente nei siti delle grandi imprese. Al mattino quelli come lui controllano il prezzo del cobalto al telefonino sulla ruota del London Metal Exchange . Poi via sui motorini, con picconi e arnesi di fortuna. E alla sera il suo raccolto (come quello dei minatori bambini) finirà nei sacchi degli intermediari sulla via principale di Kolwezi. Mercanti cinesi, naturalmente.

di Michele Farina

lunedì 13 dicembre 2021

Non fa notizia! Migranti confine Croazia-Slovenia - Bambina di 10 anni trascinata via dalla corrente del fiume dalle braccia della madre. Ritrovato il corpo

Avvenire
La bambina, 10 anni, era sulle spalle della mamma mentre cercava di attraversare il fiume di confine ed è stata trascinata via dalla corrente. In salvo altri tre figli.
Le operazioni di salvataggio della donna turca che guadava il fiume tra Croazia e Slovenia
Foto polizia slovena, fotogramma di un video

È stato ritrovato il corpo senza vita della bambina di 10 anni travolta ieri dalla corrente del fiume Dragogna, al confine tra Slovenia e Croazia, che cercava di attraversare con la madre e i tre fratelli. Ne ha dato notizia la polizia croata, come riferito dall'agenzia Hina.

Il ritrovamento del corpo della bambina di nazionalità turca, ha riferito la polizia istriana, è avvenuto intorno alle 12.30 di oggi a circa 400 metri dal luogo della scomparsa. Le ricerche da parte di poliziotti sloveni e croati e di squadre di sommozzatori erano iniziate ieri immediatamente dopo che la piccola era stata strappata alle braccia della madre dalla corrente del fiume in piena.

La tragica scomparsa nel fiume di confine
Una madre e i suoi figli sfidano la piena del fiume Dragogna, al confine tra Croazia e Slovenia, nell'ultima tappa del loro disperato percorso migratorio dalla Turchia verso il cuore dell'Europa. I primi due, il maggiore di 18 anni e il più piccolo di 5, riescono ad attraversare il confine naturale tra i due Paesi. Un nipote di 13 anni aspetta ancora sul versante croato, quando la donna 47enne e la bambina di 10 anni vengono travolte dalla corrente troppo forte. Mentre la madre resta aggrappata come può al tronco di un albero nel letto del fiume, la bimba, che secondo le prime ricostruzioni era aggrappata alle sue spalle, viene trascinata via.

L'intervento dei primi soccorritori - un poliziotto croato e uno sloveno, insieme a un abitante del posto - riescono a mettere in salvo la donna, portata poi in ospedale in "cattive condizioni fisiche" con rischio di ipotermia e in stato di choc; ma della piccola, che secondo le autorità era disabile, non c'erano più tracce.

Le operazioni di ricerca, iniziate nella notte, sono proseguite stamani con la mobilitazione di una quarantina di membri delle forze di polizia locali e di squadre di sommozzatori croati e sloveni. Per pattugliare la zona, hanno spiegato le autorità locali, sono stati impiegati anche droni. A fine mattinata il tragico ritrovamento.

Migliaia di migranti sono bloccati da mesi lungo la rotta balcanica, raggiunta dal Mediterraneo orientale, e spesso rimangono accampati in tende di fortuna e case abbandonate, in una regione dove le condizioni meteo sono particolarmente rigide.

venerdì 10 dicembre 2021

Roma, morto di freddo un senza fissa dimora, in strada a 30 anni: il corpo trovato in zona Stazione Termini

La Repubblica
Un passante ha notato il cadavere giovedì sera alle 22 in strada a piazza dei Cinquecento


Il cadavere di un uomo, apparentemente un nordafricano di circa 30 anni, è stato trovato ieri alle 22 in strada a piazza dei Cinquecento, a pochi passi dalla stazione Termini di Roma. A segnalare il corpo senza vita un passante.

Sul posto i carabinieri della stazione Roma Macao e i colleghi di Roma Centro. L'uomo non aveva segni di violenza sul corpo. Si ipotizza una morte per ipotermia a causa del freddo che ha colpito negli ultimi giorni la Capitale. La salma è al Verano a disposizione dell'Autorità giudiziaria.

sabato 4 dicembre 2021

Covid, volano i contagi in Africa: vaccinato solo il 7,5% . La campagna di COOP per sostenere la vaccinazione in Africa

Ansa
Un boom di casi dalla scoperta della variante Omicron in tutta l'Africa specie nell'area meridionale trainata proprio dal Sud Africa che per primo ha annunciato l'individuazione del ceppo.

Vaccinazioni Covid-19 in Africa: al via la campagna COOP 
a sostegno di Sant'Egidio, UNHCR e Medici Senza Frontiere

Nell'ultima settimana i contagi registrati in tutto il continente sono aumentati del 54% secondo i dati dell'OMS. Un'impennata su cui precisa l'agenzia ONU, non ci sono dati sufficienti a certificarne il legame con la nuova mutazione del corona virus, ma secondo secondo l'Istituto Nazional per le Malattie Trasmissibili del Sud Africa, Omicron è già dominante nel Paese ed è stata individuata in tre casi su quattro tra quelli studiati nell'ultimo mese, mentre i contagi nel paese sono raddoppiati in un solo giorno tra martedì e mercoledì.

Se dagli studi emerge che la nuova variante è contagiosa come la Delta, anche sta causando più casi di reiezione e che i vaccini attualmente disponibili dovrebbero proteggere dalle conseguenze più gravi, il problema è proprio il bassissimo tasso di immunizzati in tutta l'Africa dove oggi risulta coperta con con due dosi solo 7,5% della popolazione, pari a 102 milioni di persone. cifre che sostanziano l'allarme dell'OMS sulla continua diffusione di nuovi ceppi in assenza di una campagna vaccinale equa a livello globale.


giovedì 2 dicembre 2021

Foto del Giorno - "Rifugiati alle frontiere dell'Europa"

Blog Diritti Umani - Human Rights

Foto del giorno
"Rifugiati alle frontiere dell'Europa" 


Di questa foto potremmo ricercarne la provenienza, ma non è rilevante! Situazioni simili dove i rifugiati e i migranti sono "accolti" da arresti, violenze e violazioni dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo sono presenti in differenti luoghi sulle frontiere europee e avvengono ogni giorno: sulla rotta balcanica, in Grecia, in Ungheria, Turchia, Polonia, ...
Non si vede lo sguardo della bambina, solo immaginarlo da la misura delle tragedie che ogni giorno si verificano alle porte dei nostri paesi ...

ES


mercoledì 1 dicembre 2021

Webinar "No Justice without Life" - VIDEO - 30 Novembre 2021- Per un mondo senza pena di morte.

 santegidio.org

Webinar "No Justice without Life. Per un mondo senza pena di morte" del 30 novembre, nella Giornata mondiale delle Città per la Vita.


Interventi

David Sassoli
Presidente del Parlamento europeo

Bessolé René Bagoro
Ex ministro della giustizia, Burkina Faso 

Antoinette Chahine
Attivista, ex condannata a morte, Libano

Tawakkol Karman
Premio Nobel per la Pace

Mario Marazziti
Coordinatore Campagna per la Moratoria universale, Comunità di Sant’Egidio 

David Mathis
Ex condannato a morte, USA 

Suzana Norlihan Ujen
Attivista, avvocato, Malaysia

Sister Helen Prejean
Attivista, autrice di "Dead Man Walking", USA 

Vitus Rubianto Solichin
Vescovo di Padang, Indonesia